A Roma non è più tempo di “Satyricon”
Settanta anni e Federico Fellini resta un maestro insuperabile perché capiva il suo tempo. La forza di film come “La dolce vita” (1960) o “Satyricon” (1969) sta nella denuncia sociale di quell’epoca. I suoi pari oggi riescono? L’acclamato “La grande bellezza” (2013) di Paolo Sorrentino va verso l’ugual denuncia di una Roma decadente ma era al limite di un cambiamento di passo. Oggi anche nella Capitale il divario tra i pochi ricchi e i tanti poveri che devono mettere insieme i soldi per arrivare a fine mese non lascia spazio ai costumi licenziosi degli arricchiti. La proposta del “Satyricon” di Francesco Piccolo, ispirato a Petronio (elegantiae arbiter del I secolo d.C.), per la regia di Andrea de Rosa, lascia con l’amaro in bocca. La prima al Teatro Argentina di Roma è stata applaudita, ma la messinscena di una Roma lasciva ha ancora senso? La denuncia di un camminare a vuoto in cerca di qualcosa da fare oggi sembra rispondere al vero solo nella misura in cui si cammina bussando a diverse porte per un lavoro ma la ricerca non va a buon fine. L’andare a banchetti per abbandonarsi al piacere dei sensi non corrisponde più alla realtà della Capitale. A Roma la gente ha fame, ma la fame vera. Cerca il cibo, qualcosa per nutrirsi davvero ed è disposta a rovistare nei cassonetti pur di mettere a tacere lo stomaco. Il girare per festini, il chiedersi stasera cosa facciamo è rimasto un lusso di pochi. I più cercano la normalità di un lavoro, non lo sballo. I giochi di parole pantagruelici di Francesco Piccolo sono anche divertenti, ma sembrano non rispondere alla fotografia attuale di Roma. Non è più tempo di vacche grasse. Se la gente è in crisi è perché vive in una società che non gli dà garanzie dei bisogni primari, i crampi della fame non producono noia. La noia è un lusso di chi ha.