Quanta filosofia c’è in serie tv come “Westworld”? Forse più di quanto si possa immaginare… Ne parla in un saggio Giulia Bertotto
Spigliata e tenace, Giulia Bertotto a distanza di pochi mesi sforna il suo secondo libro. Dopo la raccolta poetica “In caso di Apocalisse”, presenta “Westworld. La coscienza in serie” (Edizioni Progetto Cultura) alla fiera della piccola e media editoria “Più Libri più Liberi” (appuntamento al Roma Convention Center – La Nuvola mercoledì 4 dicembre alle ore 18). Laureata in filosofia, in questo saggio Giulia Bertotto dà nuova veste alla tesi di master in “Consulenza filosofica e antropologia esistenziale”, un anno di studi trascorso incontrando le più disparate figure professionali in relazione con la filosofia: critici d’arte, psicologi, medici, geologi…
Giulia Bertotto, esiste una filosofia 2.0?
“Credo proprio di sì, per la sua stessa natura: da una parte habitat della mente di tutti gli uomini, dall’altra disciplina interiore per pochi. La filosofia sta vivendo un momento di risveglio grazie a Internet, la figura del filosofo è richiesta nelle aziende che si occupano di vendita e marketing, in tv il filosofo è l’opinionista ‘di prestigio'”.
Quale la costellazione di nozioni filosofiche che affronti nel saggio?
“Il rapporto tra libero arbitrio e predestinazione, o meglio preveggenza divina, con il maestro Agostino D’Ippona; il valore della memoria per la conoscenza con l’iniziato che era Giordano Bruno; il significato del potere con Machiavelli; e la natura del male con Socrate, ma anche con Dostoevskij. Questi argomenti universali vengono trattati anche alla luce delle nuove scoperte nelle neuroscienze e attraverso i paradigmi della fisica quantistica”.
Chi non ha visto “Westworld”, cosa deve sapere della serie prima di addentrarsi nella lettura?
“‘Westworld’ è un parco intrattenimenti a tema Far West dove tutto è ricostruito in modo fittizio, dagli avvoltoi allo sfondo dei canyon, e così sono anche i ‘residenti’, robot dalle sembianze umane indistinguibili dai sapiens, che possono essere uccisi e torturati senza conseguenze né legali né etiche. Un mondo apparente e barbaro, perché creato da un demiurgo altrettanto illuso di essere un vero creatore… è quello che postulavano i sistemi gnostici tra II e IV secolo d.C., ‘Westworld’ è una serie gnostica!”.
Il rapporto uomo-macchina – oltre “Westworld” – che ti ha affascinato in letteratura?
“Questa è una storia molto lunga in letteratura come nella tradizione filosofica, parte dal mito del Golem ebraico, passando per il ‘Frankenstein di Mary Shelley’, anche se lì parliamo di un cyborg, un ibrido uomo-macchina. A molti sicuramente fa venire i brividi Hal 9000 in ‘Odissea nello spazio’, quando dice ‘utilizzo le mie capacità nel modo più completo, il che, per un’entità cosciente, è il massimo che possa sperare’. Per quanto riguarda la filosofia, ho sempre pensato che Cartesio doveva essere una persona davvero sofferente e ‘corazzata’ per non rendersi conto che gli animali fossero senzienti e non macchine e automi. Qualcuno ha anche riprovato a far pensare questo ma non ci è riuscito… La ribellione delle macchine sembra che, se sta avvenendo, si stia più realizzando sotto forma di dominio dei social, con i loro stupefacenti vantaggi e le loro contraddizioni. Ma questi siamo sempre noi umani allo specchio della tecnologia, non credo che siano le macchine a ribellarsi, siamo noi a sentirci ribelli a un qualche ordine, trasgressori di un qualche sistema. E lo vediamo anche per l’emergenza ambientale e climatica a cui noi abbiamo contribuito”.
Quale il passaggio chiave del saggio?
“I capitoli affrontano tematiche ciascuno diverse, forse quello sul karma e la filosofia orientale, in cui esprimo la fascinazione di una somiglianza tra la reiterazione automatica del dolore nelle esperienze traumatiche degli androidi, e la ripetizione della sofferenza nelle nostre reincarnazioni cosmiche e individuali. Amo molto la poesia e talvolta le assonanze tra cinema o serie e filosofia, si fondono in me anche attraverso la poesia”.