“Il cacciatore”, la seconda stagione è una partita a scacchi dal pathos altissimo
Ha un ritmo incredibile segnato da una sintassi di inquadrature sporche, passaggi bruchi di luce e oscurità, e ralenti la seconda stagione della serie tv “Il cacciatore”, una coproduzione Cross Productions – Beta Film in collaborazione con Rai Fiction. Torna su Rai2 da mercoledì 19 febbraio per quattro prime serate, reduce da una vendita internazionale in più di 100 paesi (tutta l’Europa, l’America Latina e tantissimi paesi africani ne sono rimasti conquistati) e dal premio Best performer a CanneSéries che ha incoronato Francesco Montanari nel ruolo di Saverio Barone ispirato alla storia vera del magistrato Alfonso Sabella che si è raccontato nel libro edito da Mondadori “Cacciatore di mafiosi”. “Quell’11 gennaio 1996 è uno spartiacque nella mia vita” ha detto in conferenza stampa a Roma il pm che non è riuscito a salvare la vita di Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino sciolto nell’acido quella terribile notte per ordine di Giovanni Brusca. È da qui che ricomincia la nuova stagione de “Il cacciatore”. Avevamo lasciato Barone sull’altare quando all’orecchio della donna che sta sposando non sussurra parole d’amore ma un “so dov’è”, con una Giada Stranzi (interpretata da Miriam Dalmazio) che non realizza cosa gli sta dicendo: il magistrato sta parlando di Giovanni Brusca, il boss di Cosa Nostra. “Vengo ancora adesso assalito da tanti dubbi e mi dico ‘ma…, ma…, ma…’, anche se Brusca aveva dato disposizione dell’uccisione di Giuseppe Di Matteo se fosse stato preso” ha affermato ancora con incredibile emotività Alfonso Sabella che forse non si è ancora perdonato. Ed è questo il punto su cui fonda la sua interpretazione Francesco Montanari: “Per questa nuova stagione – ha raccontato – ho lavorato sul concetto di chiedere perdono a chi è morto, quindi un qualcosa che non avrà mai fine. È una stagione profondamente dolorosa. Barone impazzisce perché non mantiene la promessa fatta di salvare il bambino e questo diventa la sua ossessione”. Si è di fronte ad una partita a scacchi dal pathos altissimo scavando profondamente nella psicologia dei personaggi, di tutti i personaggi. Il collega Carlo Mazza (Francesco Foti), ad esempio, ha promesso alla famiglia di lasciare il pool antimafia non appena catturano Brusca, ma non è pronto davvero a questo grande passo; in più l’amico e collega Saverio è fuori controllo e deve cercare di contenerlo. Pure sul fronte dei mafiosi ci sono conflitti interiori. In primo piano c’è il rapporto tra i due fratelli Giovanni (Edoardo Pesce) ed Enzo (Alessio Praticò) Brusca, con il primo che esercita il potere sul secondo che si pone domande sul senso del perdono di Dio. Questo suo scavare interno parte da alcune reali lettere che Enzo Brusca ha scritto dal carcere a un frate cappuccino, dove mette in relazione il senso di sgomento provato quando gli è caduta la figlia dalle braccia, restando con in mano solo la copertina che l’avvolgeva, e l’Eterno che, secondo lui, avrà provato la stessa sensazione ogni volta che lui commetteva un’azione malvagia. Tra tutti loro c’è anche un’altra mina vagante, la poliziotta Francesca Lagoglio (Francesca Inaudi) che deve fare i conti col “marcio” in casa. Il regista Davide Marengo parla di “un chiaroscuro emotivo” che traduce sullo schermo con “movimenti di macchina audaci” e una “musica organica, inserita nella narrazione”, firmata dal maestro Giorgio Giampà che si è avvalso della collaborazione per quattro brani della compositrice Ginevra Nervi. Come giustamente ha detto il direttore di Rai Fiction Eleonora Andreatta siamo di fronte ad “una serie potente e innovativa, ispirata alla realtà e con una forte capacità di denuncia”.