“La partita”, il cineasta Francesco Carnesecchi segna un bel gol

Si apre con in primo piano un pallone bucato tra erba incolta, un piattino sporco e un fazzoletto; e poi ancora un altro pallone, anzi un altro ancora, tanti palloni sgonfi e usurati dalle intemperie. È un crudo piano sequenza sulle note de “La dura legge del gol”, cover dei 666, a dare il via al film “La partita” (previsto al cinema da giovedì 27 febbraio) di Francesco Carnesecchi che, completata la formazione da cineasta a New York, torna alla sua Roma per raccontarla dal punto di vista della periferia: un campo di calcio al Quarticciolo attorno al quale girano quattro vite, diversamente amare, che si giocano il tutto per tutto nella finale di campionato giovanile. C’è Antonio, il capitano dello Sporting Roma, che ha le gambe di Gabriele Fiore (ha già lavorato per Marco Risi), messo davanti alla scelta dell’essere un campione oppure andare incontro alle richieste familiari. C’è il suo allenatore Claudio Bulla, a cui dà corpo Francesco Pannofino, che crede in quello che fa anche se non ha coppe di cui vantarsi, ma è richiamato alla realtà da una figlia che sta per nascere. C’è Italo, presidente della squadra, dal volto segnato di Alberto Di Stasio, che per salvare il figlio perso nelle droghe si piega a tutto. Infine, c’è Umberto, uno strozzino che si nasconde dietro ad un punto vendita di “Panini golosi”, interpretato da Giorgio Colangeli, che è tanto meticoloso come chef (un capolavoro la sua ricetta dell’amatriciana senza aglio, cipolla e olio, ma che si affida completamente al guanciale per rendere speciali gli spaghetti, giammai la variante romana dei bucatini) quanto come boss. Decisiva per tutti sarà una domenica, non così “buona” come canta a contrasto Antonello Venditti. “La partita” ha un sapore agrodolce che lascia il segno per le molte scene da manuale, come quella del pranzo della Prima Comunione che è un crescendo di tutti contro tutti, e le tante chicche, come la radiocronaca dalla voce inconfondibile di Riccardo Cucchi.

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