Elena Arvigo: “Dopo il lockdown Venezia è stata un regalo”
Dolce e amara questa ripartenza dopo il lockdown. Ci si porta i pesi di una chiusura e di una ripartenza immersa da problemi irrisolti. Ne abbiamo parlato in maniera approfondita con l’attrice Elena Arvigo, genovese classe 1974, all’indomani del passaggio al Lido del cortometraggio “Zombie” di Giorgio Diritti di cui è protagonista, presentato come Evento speciale di chiusura della 35esima Settimana Internazionale della Critica nella sezione SIC@SIC – Italian Short Cinema.
Elena Arvigo, come sta vivendo questo periodo?
“Questa situazione ha travolto tutti e, in particolare, la categoria dello spettacolo. È stata un’occasione bellissima quella di Venezia ma sono molto atterrita per come si vuole affrontare questa ripartenza con la rimozione di ciò che è avvenuto, di tutto quello che abbiamo perso di lavoro. Stiamo ancora in mezzo ad una situazione molto critica. Sono un po’ perplessa su questo acceleratore sulla partenza, ciò mi fa un po’ paura“.
Eppure tu hai tanti progetti sulla rampa di lancio come il set del film “Il boemo” di Petr Václav e lo spettacolo teatrale “Le altre eroine” che debutterà il 30 settembre…
“Guarda, i progetti continuano ad andare avanti. A teatro ho pensato di fare questo nuovo lavoro su Ghiannis Ritsos che è un poeta che io amo molto perché si sente la necessità di una poesia impegnata sulla realtà. Al tempo stesso, sono felice di riprendere un po’ sull’audiovisivo che avevo per anni un po’ messo da parte perché il palcoscenico mi aveva completamente rapita. Ma adesso di fatto non c’è lavoro. Io ho avuto annullati i programmi di marzo-aprile-maggio e a ottobre-novembre-dicembre è cancellata la tournée con lo Stabile dell’Umbria. Di fatto i teatri si sono comportati molto male con gli artisti. È possibile tenere un dialogo con alcune realtà magari più piccole, ma con i grandi teatri è molto complesso il rapporto. Sono contenta di quello che faccio, ma non posso non vedere che quasi tutte le persone che conosco sono senza lavoro o hanno progetti a brevissima scadenza e poi davanti il vuoto “.
Le misure sul distanziamento sociale di prevenzione al Covid nei luoghi deputati allo spettacolo secondo te sono sufficienti a rassicurare lo spettatore a esserci?
“Non sapendo che cosa sia questo virus e non avendo ancora adesso la più pallida idea di quale sia la sua carica virale, è molto difficile avere delle opinioni sulle cose. Tutto è sempre basato sulle impressioni personali. Mi viene da dire che non c’è molta coerenza perché da una parte si viaggia in aereo tutti vicini, si va sul traghetto appiccicati e, poi, i teatri hanno un altro tipo di vincolo. La gente è abbastanza rassicurata, però è vero che la Mostra di Venezia ha avuto la metà degli accrediti rispetto all’anno scorso. Al Lido io sono andata a vedere tutti i film con la mascherina e ho constatato che tutto è stato fatto nel migliore dei modi, ma tutta la questione Covid è un po’ contraddittoria. Il pubblico ha voglia di tornare, però il discorso è a quali condizioni, come e a vedere che cosa. Per ciò che concerne il teatro tante piccole realtà non apriranno o faranno stagioni bizzarre di laboratori, di residenze. Anche il modo di produrre dovrà cambiare. È un cambiamento molto grande. Non è stato un semplice lockdown che poi si apre e tutto torna. L’impressione è che siamo di fronte ad un cambiamento epocale e, mentre ne parliamo adesso, tutto sta velocemente continuando a cambiare“.
Bisogna navigare a vista.
“Io sono assolutamente per rispettare le regole di comportamento. Non esiste alternativa. Dopodiché bisogna un po’ capire cosa comporta questo, non vorrei che queste ripartenze fossero fatte sulle spalle molte volte anche dei lavoratori. Si sente parlare tanto di aiuti, ma se questi vanno alle imprese e le imprese poi non aiutano i lavoratori o li licenziano, dove andiamo? Io conosco anche realtà che si sono messe apposto le finanze con il Covid! Non è tutto come sembra“.
Come hai vissuto la Mostra del cinema in questo momento così delicato?
“Per me è stata una bellissima sorpresa. Prima di tutto perché ho fatto un cortometraggio con Giorgio Diritti a cui ho aderito a scatola chiusa perché mi piaceva l’idea di lavorare con lui. È strano che un regista del suo calibro faccia un cortometraggio di solito appannaggio degli esordienti. È un cortometraggio fortunato perché è piaciuto molto. Venezia è stata un regalo, dopo un anno così senza lavorare. Da marzo ad oggi ho perso circa 70 giornate di lavoro a teatro, ne ho fatte tre e davanti ne ho un paio. La situazione è abbastanza tragica per lo spettacolo dal vivo. Questa non è una falsa partenza, è una ripartenza, ma non venga rimosso quello che è successo, perché è molto pericoloso“.
Anche perché il futuro resta un’incognita.
“Un’incognita e i lavoratori dello spettacolo dovrebbero avere delle tutele, anche contrattuali, un pochino più rassicuranti, come tutti i precari di sempre, quelli a partita iva, i giornalisti e gli uffici stampa, cioè tutto questo mondo che gravita intorno“.
Stanno facendo diverse iniziative solidali per raccogliere fondi a favore dei lavoratori dello spettacolo. Tu credi nella forza di questi eventi?
“Tipo?“
Il concerto in streaming dall’Arena di Verona o la Partita del cuore.
“Io non credo molto a queste raccolte fondi. Penso che lo Stato dovrebbe mettere un osservatorio per decidere come spendere i fondi pubblici che ci sono. È una cosa che si chiede da tanto tempo. Non so, per il Festival di Nervi hanno speso 720mila euro a luglio dando dei cachet d’oro a star della danza russi. Io dico ci sono dei soldi pubblici? In un momento come questo il Paese non ha bisogno di raccolte fondi altrimenti, mi chiedo, a cosa serve il governo e a cosa servono le tasse. Come durante il lockdown che c’erano le raccolte per gli ospedali, ma le mascherine dovevano acquistarle gli ospedali, non la raccolta del condominio. La raccolta fondi ci può anche stare, ma è una cosa in più. Se ci sono dei fondi pubblici bisogna capire come vengono spesi“.
L’utilizzo delle piattaforme: una necessità che è diventata un abuso?
“Ha preso una velocità… Non so se si può parlare di abuso. Erano dei contenitori e adesso stanno diventando la sostanza. Prima uno usava dei social per fare promozione, magari anche per vedere una cosa, facevi la pubblicità dello spettacolo, ma adesso sembra diventato più importante scrivere che fare qualcosa. È più importante quello che è là sopra che quello che poi accadrà o che è già accaduto, e questo per me è pericoloso. Penso al cortometraggio ‘Zombie’, probabilmente uno dei motivi perché l’ho fatto è che Giorgio Diritti è un regista che sceglie gli attori andando a teatro e non guardando Instagram. Ho diversi amici che hanno perso dei lavori perché sono stati battuti da persone che avevano più followers. Questa è una direzione molto insidiosa: un mondo in cui la forma delle cose ha questa importanza è pericolosissimo“.
Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini è per una piattaforma che accolga gli spettacoli teatrali dal vivo. Sei tra i sostenitori di questa idea?
“Il teatro è dal vivo. Ha resistito a tutto, resisterà anche a questo. Poi si possono riprendere degli spettacoli, provare a fare dei video, però lo spettacolo è avere un appuntamento, vedersi, sentirsi ed è una cosa irripetibile che avviene in quel momento. Non sono d’accordo sulla piattaforma del teatro, mi sembrerebbe un ulteriore passo verso questa disumanizzazione. Sembra che si voglia creare un mondo in cui la gente lavora da casa, sta a casa, non si muove, non crea relazioni con l’altro in sostanza. Andare in sede a lavorare, al di là della pesantezza del tragitto, è anche avere una relazione con quello del bar di sotto, con le persone con cui si lavora“.
Gira sui social la vignetta in cui da seduti davanti al pc compiamo tutte le azioni di una vita: dal lavoro allo svago, passando per lo shopping.
“A me piace fare la spesa, fare due chiacchiere, sono relazioni. Se no veramente diventa tutto senza odore“.
Della serie: un algoritmo imposterà la nostra vita!
“E tutto questo per noi che siamo adulti! Poi per i bambini, per i ragazzi è ancora peggio. Le relazioni devono svilupparsi anche nei contatti. Un bambino va a scuola non soltanto per imparare, ma anche per avere i suoi compagni di banco, di classe. Ci saranno quelli che non lo sopportano, quelli che lo bullizzano, quelli che lui non sopporta: è questo il modo in cui si cresce e s’impara cos’è il mondo. Se i bambini stanno sempre davanti al computer, hanno un’idea del mondo completamente astratta, cioè per loro è veramente pericoloso. Rischiano di diventare degli anaffettivi pericolosissimi“.
A proposito di bambini, “Zombie” è la storia di un’infanzia violata: un cortometraggio meraviglioso, ma tanto amaro. È stato difficile calarsi nei panni di una mamma che soffre così tanto il tradimento?
“In realtà no, sono stata molto diretta. Non ci siamo detti molto con Giorgio Diritti, però abbiamo lavorato sulla misura, sul fatto della fragilità più che sull’infanzia violata. Questa è un’interpretazione di chi vuole creare una narrazione, però nella vita prima della narrazione avvengono le cose, poi vengono narrate e ognuno dà la sua narrazione. Nella vita le cose lì per lì succedono. Su questo abbiamo cercato di lavorare, su questa fragilità. È una cosa che trovo interessante perché la maggior parte delle cose che avvengono, anche molto pesanti, molto tragiche come in questo caso, avvengono per delle fragilità. Ed è più interessante mostrare quello che la vendetta. In realtà quello che si vede è una giornata di una donna, Paola, che ad un certo punto un po’ si rompe senza neanche accorgersene e fa una cosa, un gesto nei confronti della figlia, Camilla, che non andrà sui giornali, perché non è un reato. Non è che lei fa una cosa eclatante. Fa una cosa che rimarrà un segreto, che sarà una ferita come noi tutti abbiamo. Perché poi le infanzie sono più o meno tutte violate da qualcosa, da qualche fragilità di qualche genitore, di qualche parente, e su queste cose si costruisce la nostra personalità. Quindi per me era importante restituire la complessità di una vita anche molto semplice, di una semplice mamma che ha un marito così. Qualcuno ha detto: ‘Fa una cosa mostruosa, è irresponsabile’. Secondo me, fa una cosa che diventa tragica. Medea è cattiva? Non lo è. È molto più complessa la cosa. La mamma del corto non è cattiva: vive una situazione di inquietudine e fragilità che si rompe e, quando le cose si rompono, i vetri vanno da tutte le parti“.
Quali indicazioni ti ha dato Giorgio Diritti per rendere queste sfaccettature?
“In realtà abbiamo lavorato molto nel rapporto con la bambina. La cosa fondamentale era l’affetto, che ci fosse sempre questo grandissimo amore e complicità con la bambina“.
Hai avuto modo prima delle riprese di incontrare Greta Buttafava, la piccola Camilla?
“Ci siamo conosciute il giorno prima, siamo state un po’ insieme, per i bambini è sempre tutto una magia. Si è lavorato sul contrasto con il gesto finale. Sono sempre i contrasti a rendere interessante una storia. Un regista raccontava sempre la storia di un suicida che dice che è depresso e che si vuole ammazzare, osservando che questo è ordinario. Invece la storia di un uomo felice, che ha tutto quello che vuole e poi va a casa e accende il gas, è il pugno nello stomaco: qui hai il contatto con il mistero della vita. Vedere quindi una mamma che ama così tanto una bambina e poi fa quel gesto che dura un attimo è forte. In fondo si fa del male alle persone che si amano di più. È così per tutti. Le grandi ferite che abbiamo dovuto recuperare da grandi sono ferite che ci hanno fatto normalmente le persone che avevamo più vicino“.
“Zombie” è stato realizzato in chiusura del corso di sceneggiatura e regia “Dall’idea al set” curato da Giorgio Diritti durante tutto il 2019 per la Fondazione Fare Cinema di Marco Bellocchio a Bobbio. Hai incontrato i ragazzi del progetto?
“Sì, abbiamo le foto che ci siamo fatti tutti insieme. È stato un set molto bello, molto allegro. C’era grande entusiasmo da parte loro di fare questo corto con Giorgio. Era un set molto giovane, con quell’entusiasmo che fa bene. Sono degli appassionati di cinema prima che dei mestieranti“.
Come vedi il tuo domani?
“Sono confusa a riguardo. Sicuramente vedo lo spettacolo dal vivo in una situazione di grande disagio, quindi ci si dovrà un po’ reinventare il futuro. Dato che il teatro negli ultimi anni è stata la mia vita, credo che sicuramente bisognerà un po’ ridisegnare il percorso con modi nuovi di dialogare con il pubblico“.
La tua forza, la tua energia, la tua benzina in questo momento dove l’attingi?
“La prendo dalla mia vita privata che invece per fortuna è bella. Il lavoro prima si sovrapponeva molto alla mia vita privata perché gli impegni erano uno sopra l’altro, adesso invece sono molto diradati. Per certi versi è stato anche utile vedere le cose un po’ più da lontano, anche se non è bello quello che è successo. Ci sono stati migliaia di morti, è stato devastante ciò che è successo. In Lombardia, in particolare a Bergamo e Brescia, è stata quasi decimata una generazione. Poi se qualcuno facendo il pane e i dolci a casa si sia riavvicinato ai propri cari va bene, ma è l’effetto secondario, non togliamo la luce da quello che è successo“.
E soprattutto che siamo ancora in emergenza Covid…
“Questa è una cosa che non si riesce tanto a visualizzare. La gente ha una voglia di rimuovere pazzesca, non capendo che è ancora tutto in corso“.
Hai sempre letto tanto, in questo momento quale libro hai tra le mani?
“Ne leggo sempre un po’ insieme. Però adesso sto leggendo ‘L’atlante delle sirene’ di Agnese Grieco, un saggio sulle sirene nella storia e nel mito: traccia tutto quello che è stato scritto, detto e dipinto su di loro. Molto bello. A me tutte le cose mitiche piacciono tantissimo. Sono un po’ fissata“.
Io sono legata per nascita alla sirena Partenope. M’incuriosisce sapere cosa ti stia sorprendendo maggiormente leggendo il libro.
“La riflessione sull’ascolto e sul silenzio, forse era questo che mi ha sempre attratto delle sirene ma non lo avevo mai messo a fuoco: questo loro canto che ti porta via“.
Forse perché nella vita ci sono tante parole e poco ascolto e le sirene le leggi come un invito a fermarsi ad ascoltare…
“In realtà, la sirena è una figura terribile, non è così positiva, però resta che c’è qualcosa di magico nell’ascolto. Vero è che nella vita si ascolta davvero poco. Forse questa è la cosa che manca di più anche rispetto al discorso dei social: si guarda tanta roba, ma non si ascolta più niente“.