Alberto Fabbretti a New York insegue il sogno di diventare attore sfilando come modello alla Fashion week. Un consiglio di moda ai giovani come te? “Braghe della tuta e collanina d’argento”
Mi accoglie con un solare “Buongiorno”. Mentre qui in Italia si va verso l’ora dell’apericena, lui si sta svegliando. Due anni fa si è trasferito a New York per rincorrere il suo “sogno americano” e diventare attore studiando alla scuola di recitazione Susan Batson Studio. Siamo al telefono con Alberto Fabbretti, nato il 28 novembre 1998 a Latisana (Udine), ma veronese di adozione.
Attore, autore, regista, produttore: ti senti un artista a tutto tondo?
“Il mio sogno è quello di diventare un attore. Poi, nel caso dello short movie ’36 Hours in New York’ che è in gara in sei festival, sono stato anche produttore, regista, editor, autore. Questo perché credo che uno dei modi per diventare attore e avere un minimo di visibilità è quello di creare qualcosa di tuo, che viene da te. Nel momento in cui ho deciso di creare questo short movie ho dovuto fare un po’ tutto da solo, anche scrivere la storia, quindi in questo senso sono stato un artista a tutto tondo. Credo che bisogna fare un po’ di tutto per acquisire esperienza. Più sai fare meglio è, così se hai un’idea, hai la possibilità di poter creare senza dover aspettare di trovare le persone giuste che ti aiutino“.
“36 Hours in New York”: è una crime story, a chi ti sei ispirato?
“È un’inedita storia thriller, un po’ anche noir; nello stile e nella tecnica mi sono ispirato ai registi Martin Scorsese e Brian De Palma“.
Come continuerà il percorso di questo short movie?
“Attualmente questo cortometraggio di 12 minuti continuo a iscriverlo ai festival. In ottobre sarà proiettato al Chelsea Film Festival di New York e al New Filmmakers di New York. È bello vedere l’interesse di tanti festival che lo includono nella loro programmazione“.
Il protagonista Louis che interpreti è un eroe negativo?
“È una figura molto particolare, lo definirei più positivo che negativo. Louis ha un passato da criminale e quello che desidera di più al mondo è abbandonare quella vita. Il fatto che decida di compiere una rapina è che ha bisogno di soldi per un motivo sentimentale, quindi è costretto a fare qualcosa che è contro la sua volontà per un bene superiore“.
Stai preparando un one man show dal titolo “Stellan” sulla giovinezza dell’attore svedese Stellan Skarsgard: come mai vuoi raccontare la sua storia?
“Skarsgard ha una personalità che mi piace molto, anche se non è il mio modello, lo ammiro molto come attore“.
Chi sono invece i registi che ammiri e da cui vorresti essere diretto?
“Credo che per un attore il sogno più grande sia quello di essere diretti da un regista con cui ci ha un alto feeling, quello con cui si costruisce il personaggio e che dà un alto grado di libertà. Ci sono registi che mi piacciono come Tarantino e Brian De Palma, però non voglio essere diretto da loro, ma da quelli con cui s’instaura empatia“.
Il tuo universo cinematografico sembra molto americano: l’Italia del grande schermo?
“La cinematografia italiana mi piace moltissimo, soprattutto quella degli anni Settanta, Ottanta, Novanta“.
Un nome?
“A me piace molto Paolo Villaggio“.
Ami il personaggio del ragionier Fantozzi?
“Sì, ma ha fatto anche ‘La voce della luna’ con Benigni. Villaggio è un attore molto semplice, senza particolari artifici: è se stesso in scena“.
Sei dall’altra parte dell’Oceano per diventare attore: oggi come oggi esiste ancora un sogno americano?
“Sì, anche se è molto difficile da raggiungere perché non basta venire qui e viverci uno, due anni, perché si ha un altro tipo di cultura. È un processo molto lungo: devi integrarti, parlare bene la lingua, acquisire una mentalità molto diversa“.
Su questo fronte hai difficoltà?
“Non difficoltà, ma un forte stupore. Vieni giudicato molto poco qui, c’è molta più libertà e si vede sempre il bicchiere mezzo pieno. Sento un’aria di positività e di relax, non sento tensione“.
In questa emergenza Covid-19, come si declina a New York questo ottimismo?
“Attualmente a New York il numero dei contagi è molto basso. Ci sono norme come la quarantena obbligatoria se si viene da paesi ad alto contagio, ti viene misurata la temperatura entrando nei locali e la mascherina è d’obbligo. C’è ottimismo, ma è un ottimismo giustificato perché ci sono i requisiti: si sta facendo il meglio che si può“.
Tornerai in Italia per il tuo 22esimo compleanno?
“Di solito torno in Italia soltanto un paio di settimane a Natale e in estate“.
Hai sfilato alla New York Fashion Week, sei un sagittario molto eclettico?
“Semplicemente ho fatto dei casting di moda, visto che sono molto alto – 1,90 – e magro. New York, assieme a Parigi e Milano, è una delle città più importanti per la moda ed è stata una bella occasione da prendere al volo. In tutto ho già sfilato tre volte alla New York Fashion Week ed anche la carriera da modello è qualcosa che mi attira“.
Un consiglio ai ragazzi della tua età sul come vestirsi questo autunno?
“Ho sfilato alla New York Fashion Week la settimana scorsa ed ho vestito un abito che mi è piaciuto molto, un abito molto semplice, molto ‘free’, molto libero: braghe della tuta, una maglietta con una collanina d’argento e occhiali da sole. Ovviamente questa era la linea primavera-estate 2021, ma anche per l’autunno non è male, un abito molto interessante“.