L’eclettica Marta Pistocchi racconta la “sua” Milano in maniera controcorrente
Marta Pistocchi, ti definisci “una violinista creativa, poliedrica, originale”: come mai ora ti tuffi nel mondo del cantautorato?
“È un po’ la mia caratteristica quella di mescolare diversi generi artistici, diversi linguaggi artistici. Per cui sono partita dalla musica, ma poi ad un certo punto ho incontrato il teatro, il teatro di strada, la clownerie e ho creato uno spettacolo mescolando i due linguaggi. Questa cosa mi è piaciuta, mi ha dato molto gusto e quindi è stata una naturale evoluzione quella di continuare ad allargare l’orizzonte, a cercare nuovi linguaggi da mescolare comunque, per cui è stato non deciso a tavolino quello di scrivere delle canzoni, è venuto, ma nel momento in cui è venuto io già sapevo che poi avrei voluto farne uno spettacolo teatrale e mescolarlo alle altre abilità, linguaggi che sperimento di già: mi piace mescolare!“
L’album “Toponomastica” appena uscito – prodotto da Topo Records in collaborazione con Adesiva Discografica e arrangiato da te, Mattia Mistrangelo e Massimo Marcer – è un inno alla Milano vista dagli ultimi: cosa ti lega a questa città e perché hai voluto raccontarla da questo punto di vista?
“Io sono milanese, sono una dei rarissimi casi di milanese nata a Milano figlia di milanesi. Non ho un particolare orgoglio campanilistico però nonostante io viaggi molto, vada molto in giro, alla fine ho scelto di vivere a Milano e ritorno a Milano sempre volentieri. C’ho fatto pace con gli anni per essere sincera veramente, però più vado avanti, più questa città la conosco e mi piace. Ho voluto descriverla dal punto di vista degli ultimi, perché un po’ è il mio. Io vivo una fetta di Milano che è popolare, vivo in un quartiere molto popolare che è quello di via Padova. Faccio un mestiere, suono dei generi che vivono non nei locali più chic della città, ma magari in quelli più del sottobosco, nascosti. Frequento persone che assomigliano un po’ a me. Quindi è un po’ il mio punto di vista e ho voluto valorizzarlo perché spesso quando si parla di Milano la prima cosa che viene in mente è la città vetrina, la città della moda, il fashion, il lavoro, il milanese imbruttito, per quanto mi faccia morire da ridere Germano Lanzoni (li ho visti tutti i video), però non c’è solo quell’aspetto lì. Spesso questo è un po’ una macchietta e si dimentica un lato molto più umano di Milano. Alla fine Milano è una città che accoglie, ha sempre accolto tutti e lo dimostra il fatto appunto che io sono una dei pochi casi di milanese nata a Milano. È una città che accoglie a braccia aperte, è popolare, lo è per natura“.
Meraviglioso, è vero Milano dà tanto ed è bello parlare con una milanese doc!
“A volte poi ti manca un po’, però bisogna anche rimanere a galla in questa città perché va anche molto veloce. Ma è innegabile che sia fatta di tantissima umanità sentita, non è sicuramente una città vetrina che vive soltanto di finanza o di moda, assolutamente no. Chi la conosce nei suoi particolari più piccoli e più intimi la sa questa cosa, quindi io ho voluto raccontare quello, siccome io la vedo, la conosco quella realtà di Milano lì, ho voluto dire che esiste anche questa, sappiate che esiste, incuriositevi e andatela a scoprire“.
Sei alla vigilia del debutto di “Toponomastica – Teatro Canzone Comico” (il 3 ottobre al Centro Culturale Rosetum di Milano, all’interno del Festival del Giullare): teatro canzone è per eccellenza Giorgio Gaber, qual è per te il suo insegnamento più grande?
“Quello di raccontare sempre la verità e di raccontarla attraverso il proprio punto di vista e anche questo deve essere condito dalla propria verità“.
La tua vena comica a chi si ispira?
“Ho chiesto la regia a un’attrice comica che stimo in una maniera altissima che è Rita Pelusio, quindi direi che per adesso m’ispiro decisamente a lei, anzi sono molto felice che abbia voluto lavorare con me, è un grande onore e la reputo una professionista strepitosa e un’attrice di una comicità intelligente. Questo è quello che cerco di fare anch’io: di far ridere ma anche di far riflettere!“
La canzone “Serie” che lancia un dardo a favore di coloro che non guardano le serie tv quanto ti rispecchia?
“Al cento per cento. A parte le gag comiche, le battute, però è assolutamente autobiografica. Anzi, è nata perché quando facevamo le prove con la band e poi magari ci fermavamo a pranzare insieme con i miei compagni di musica che sono tre consumatori seriali di serie, io mi ritrovavo che si passavano tre quarti d’ora in cui loro chiacchieravano di serie tv e io stavo lì ad ascoltare senza poter intervenire nella conversazione, quindi assolutamente autobiografica. Ho voluto riderne ovviamente“.
Come vesti i panni di persona controcorrente?
“Non è che sollevo la bandiera dell’essere controcorrente, io cerco di fare le cose che piacciono a me, mi ritrovo casualmente, magari un po’ fuori dal mainstream, ma non capisco perché gli altri non vengano nella corrente assieme a me. Non è un essere controcorrente sempre e comunque a prescindere, è semplicemente una scelta di libertà, mi do alla libertà di fare le cose in cui credo e che mi piacciono veramente“.