Si è detto “ora o mai più”: Maestro Pellegrini il 30 ottobre pubblica “Fragile”, il suo primo album da solista
Maestro Pellegrini, come mai questo progetto discografico da solista?
“A 33 anni ho capito che se non l’avessi fatto adesso non l’avrei fatto più. Ho sempre scritto canzoni da quando faccio musica, una caratteristica che ho sempre avuto è quello di scrivere canzoni o comunque parole che poi a volte sono rimaste in un cassetto per lungo tempo. Allora capendo che dopo il tour di Sanremo avrei avuto un anno un po’ più libero, ho iniziato a mettere un po’ insieme le cose, ho riniziato a scrivere dopo molti anni e ho visto che quello che usciva era proprio quello che avevo dentro. Ero molto a contatto con me stesso, con le mie paure e con le mie fragilità, che poi secondo me sono quelle che vale la pena raccontare nelle canzoni. Sono arrivato a nove per non superare le sinfonie di Beethoven e alla fine c’ho fatto un disco che doveva uscire integralmente l’8 maggio, ma poi come sappiamo in quel periodo non era possibile neanche stamparli i dischi“. Sono al telefono con Francesco Pellegrini (Livorno, 27 agosto 1984), chitarrista, polistrumentista e cantautore, membro del gruppo rock toscano Zen Circus che ha partecipato al Festival di Sanremo nel 2019, l’ultimo con la direzione artistica di Claudio Baglioni piazzandosi al 17esimo posto con “L’amore è una dittatura”. Dall’11 settembre è disponibile su tutte le piattaforme di streaming “Fragile, Vol. 2” (Blackcandy Produzioni), il nuovo ep e volume numero 2 del suo primo disco solista.
Quindi hai concepito il disco in una formula unica ma l’hai dovuto scindere a causa dell’emergenza Covid-19?
“Sì, esattamente. Ma abbiamo deciso comunque di far sentire le canzoni anche perché era un momento, secondo me, in cui serviva la musica, la musica va condivisa. Così ho scelto di pubblicare i brani, inizialmente quattro nel Volume 1, aspettando poi cosa succedeva durante l’estate. Quando la situazione si è prolungata, ho deciso di pubblicare anche il Volume 2, però la tracklist si completerà il 30 ottobre quando finalmente andremo in stampa – il disco uscirà anche in formato fisico – con un nono brano che non è ancora uscito in digitale e che non uscirà fino a metà novembre in digitale. Inizialmente andrà soltanto nel disco e vede protagonista un altro ospite“.
Puoi dirmi qualcosa in più: titolo e guest?
“No, non posso dire niente“.
Il titolo “Fragile” suggerisce che ti sei messo completamente a nudo, come uomo e come artista…
“In realtà, ‘Fragile’ rappresenta un po’ la mia personalità e un po’ comunque è la condizione umana anche, perché ce ne stiamo rendendo conto di quanto l’essere umano è fragile. Il mito del ‘superuomo’ è ampiamente superato. La condizione umana è di fragilità, anche se noi a volte ci sentiamo fortissimi, e la mia lo è ancora di più, pensa che io peso 58 kg, quindi è una fragilità anche fisica e sicuramente poi rispecchia anche i contenuti del disco. Disco con cui cerco di scavare dentro di me per tirar fuori e raccontare agli altri, un po’ come una forma di analisi e di esorcizzazione della cosa, le mie paure e le mie fragilità per farli diventare punti di forza. Quindi mi sembrava il termine più adatto per dare il titolo al disco“.
Francesco, il peso è un fatto costituzionale?
“Sì, forse peso anche 62, è sempre stato così“.
Ti senti più un poeta che si accompagna con la musica o un musicista a tutto tondo?
“Questa è una riflessione molto interessante che hanno fatto in tantissimi. Se ci pensiamo si è discusso tantissimo su quale fosse la forma d’arte che doveva prevalere tra poesia e musica già nei secoli scorsi, quando queste due arti si mettono insieme. Nel mio caso mi sento di dire che sia le parole che la musica sono al servizio di qualcos’altro, cioè del messaggio che io in questo caso scelgo di veicolare come autore dei testi, ma anche che ho veicolato in altre situazioni semplicemente come musicista, però mi sentivo parte di questo messaggio allo stesso modo. Qui ovviamente sono protagonista, quindi mi metto maggiormente in gioco in primissima linea e appunto scelgo di prendere una strada di solitudine, almeno temporanea, per capirmi meglio e per crescere. Detto questo, la poesia è un modo per me, diciamo la scrittura di testi – non mi sento un poeta -, un modo per me di parlare con me stesso, la musica è stata anche lavoro al di là poi della componente personale, quindi sicuramente con la musica ci ho lavorato tanto anche solo come musicista, nella mia vita ho fatto più il musicista“.
Quanto incide sul tuo percorso discografico il fatto di essere nato in una città come Livorno sul mare?
“Credo che incida moltissimo, peraltro io non vivo più a Livorno da un annetto e mi manca anche tanto, perché Livorno è un posto dal quale serve andarsene ma poi è un posto che ti attrae sempre di nuovo a sé. C’entra perché alcune delle mie canzoni, anche se poi sono state prodotte in modo molto moderno, hanno dei riferimenti a Piero Ciampi che è stato un cantautore livornese, quindi sicuramente c’è una componente labronica nel mio modo di esprimermi. Il mare io purtroppo lo do un po’ per scontato, nel senso che c’entra anche la vicinanza al mare, ma questo per me è naturale perché ci sono nato davanti“.
Curiosità, ti sei trasferito da un po’, dov’è che hai trascorso il lockdown quindi?
“Il lockdown l’ho fatto a Livorno perché mi trovavo lì per ragioni di lavoro e quando hanno chiuso tutto sono dovuto rimanere là e poi comunque vivo a Padova, poi sono tornato qui“.
Un verso di una tua canzone che descrive il tuo stato d’animo di questo periodo di completa incertezza per il Coronavirus?
“Tra quelle che sono già uscite, sicuramente ‘e continuiamo a vivere come luce all’imbrunire di fronte a questo mare che piano sale su’“.
Non so perché con questa frase mi riporti alla cappella degli Scrovegni col ciclo di affreschi di Giotto…
“Ci sono stato lo scorso anno. Più che altro è incredibile quanto Giotto sia riuscito a rendere quell’opera d’arte attuale, sembra fatta ieri, ha qualcosa che la rende moderna sempre…“