Daino: “Mi piacerebbe partecipare a un’edizione di Sanremo!”
“Ciao, come stai? Tutto bene?“, mi accoglie così al telefono il 21enne Daino, cantautore milanese che ha da poco varato il singolo “Quanto era bello” che sprigiona una leggerezza inusitata in questi giorni bui. Parlarci sprigiona tanta energia positiva che fa bene a chi è un po’ fuori sync per questa emergenza sanitaria. “Siamo tutti così in questi giorni. Io non guardo il telegiornale da 4, 5 giorni, e sto meglio con me stesso“.
Daino, come nasce il tuo nome d’arte?
“In realtà è abbastanza semplice. Io mi chiamo Niccoló Dainelli e quando ero più piccolo mi chiamavano Daino, soprattutto alle medie. Così ho deciso di chiamarmi Daino che è poi anche un animale“.
Io immaginavo ci fosse una ragione ambientalista dietro a questa scelta…
“Sì, mi piacciono gli animali e il daino è un animale selvatico che porta alla libertà. La musica è una forma di libertà in un certo senso, quindi alla fine c’è anche questa spiegazione“.
Due anni fa sei arrivato in finale ad Area Sanremo, l’anno scorso una full immersion musicale negli Stati Uniti, quest’anno secondo al Festival di Castrocaro Terme: a che punto del percorso professionale ti senti?
“All’inizio, perché è da relativamente poco che ho trovato una quadra nella scrittura. Ho sempre scritto, suonato, ma mi sento molto più a fuoco negli ultimi due anni. È da due anni che scrivo in una versione diversa, mi sento cresciuto, però sono ancora all’inizio. C’è un sacco di strada da fare nonostante queste esperienze che ho fatto, dagli Stati Uniti a Castrocaro. Sono state esperienze super belle, ma sento che devo fare un sacco di roba“.
“Quanto era bello” ha una freschezza che rapisce la fantasia: hai vissuto davvero questa notte milanese?
“Sì, è una storia vera, una storia in parte sentimentale che ho voluto raccontare con leggerezza, non volevo essere sdolcinato, è solamente una fotografia, non c’è neanche un parere esterno. Ho voluto fotografare questa cosa. Ripeto un sacco di volte ‘Quanto era bello, quanto era bello’ nel ritornello perché voglio ricalcare l’aspetto nostalgico che c’è in tutto questo. Di sottofondo c’è una Milano di locali, esperienze nuove. Io ho sempre vissuto in provincia (Parabiago, Mi), era un periodo in cui ho iniziato a vivere Milano di sera, di notte e ho conosciuto persone nuove. C’è l’ambiente universitario, perché ho frequentato il Conservatorio… Diciamo che c’è tutto un pot-pourri di cose che mi hanno ispirato questo brano“.
Con la persona del brano vi siete rivisti?
“Non ci siamo ancora rivisti, ma è una storia di amicizia che poi è sfociata in tenero. È abbastanza personale come cosa“.
Il “Quanto era bello” comprende anche il tempo prima del Covid-19?
“Quello chiaramente io non l’ho pensato ma è sottinteso. Non c’è niente da fare, prima era tutto molto più bello. Quando ho scritto il brano non ho però voluto calcare questa cosa perché mi sembrava superfluo“.
Quando componi che mood devi crearti attorno?
“In realtà non creo io il mood, è il mood che crea me. Io parto da uno stato d’animo che mi prende e mi porta a scrivere. Non c’è un momento esatto in cui mi metto a scrivere. È più il momento che crea la scrittura. E poi c’è tutta una magia perché come ti dicevo è difficile dire: adesso scrivo una canzone. È più il momento particolare, che può essere in realtà mentre sono in cameretta, sul treno, in giro. Però c’è un momento particolare che magari hai visto una cosa oppure ti ricordi di una cosa e inizi a scrivere“.
Tra note e testo cosa arriva prima?
“In genere io scrivo tutto insieme, però può darsi che succeda come per ‘Quanto era bello’ che ho già delle immagini. Io ho un diario di immagini, idee, pensieri da cui prendo spesso ispirazione, immagini, cose che mi sono già segnato nel corso della mia vita, perché io vedo cose, faccio cose, come diceva Nanni Moretti, e poi mi segno tutto su questo diario e poi quando scrivo metto insieme questi pezzi. Comunque musica e testo vengono spesso insieme. Anche se ho provato sull’altro pezzo, lo scorso singolo che si chiama ‘Mioddio’, a scrivere sulla musica, quindi ho composto prima la musica e poi dopo ho scritto il testo e anche questo funziona. Non c’è una regola vera e propria“.
Quali strumenti musicali suoni?
“Il mio primo strumento, quello che ho imparato per primo che ero proprio un bambino, è il clarinetto, che è uno strumento a fiato, un po’ particolare, fa parte della famiglia dei legni, una specie di via di mezzo tra un flauto e un sassofono. Poi suono il pianoforte e la chitarra. Da un po’ sperimento suoni elettronici. Ultimamente mi sono preso pure l’ukulele, mi piace suonare tutti gli strumenti“.
Quali le tue prossime tappe professionali?
“Sicuramente scrivere altri pezzi più belli. Poi ci sono un po’ di cose che purtroppo non riguardano i live ancora perché siamo tutti un po’ fermi noi musicisti e lavoratori dello spettacolo. Però sicuramente mi piacerebbe partecipare a un’edizione di Sanremo, non si sa quando, però vedremo!“.
Ho letto che ti piace suonare anche per strada. Logicamente non mi riferisco a questo frangente storico.
“L’ho sempre fatto praticamente da quando avevo la maggiore età, da quando ho compiuto 18 anni ho fatto il permesso e ho cominciato a suonare in strada. In realtà è una cosa che mi ha aiutato tanto, sia a livello artistico, sia come persona perché è un modo anche di mettersi in gioco. Poi è anche bello conoscere la vita, la vita nel senso della gente che passa per strada, magari con qualcuno capita di parlarci. Ho anche conosciuto delle persone. È una bella cosa a livello umano che un pochino mi manca. Tra l’altro volevo fare una specie di anteprima del singolo che è uscito il 23 di ottobre: volevo andare a suonare in strada il 22, suonando proprio il brano in acustico. Tra l’altro, avevo organizzato tutto con un chitarrista che è un mio amico, volevo fare questa cosa, ma non mi sembra proprio il periodo, quindi abbiamo deciso di posticipare, ma magari tornerò… Vediamo quando“.
In ultimo, mi lasci una frase a cui sei legato.
“Una frase che mi piace tanto che mi è venuta in mente adesso in realtà, è una vecchia frase di Dalì: il vero artista non è colui che è ispirato ma è quello che fa ispirare gli altri. Mi piace questa cosa perché effettivamente spero che un giorno scrivendo canzoni qualcuno possa dire: cavolo però quello che hai scritto mi ha ispirato! In un certo senso, questo è proprio il sogno che mi piacerebbe in qualche modo portare a compimento: ispirare tramite le canzoni, le parole“.
Bello, mi hai colpito. Grazie.