Lostinwhite: “Bisogna poter vivere senza paura”
È di una dolcezza incredibile il 53enne Vittorio Bianchi dei Lostinwhite, in inglese letteralmente “Persi nel bianco”, gruppo che “nasce nel 2014 quando ho iniziato a scrivere il primo disco che è uscito l’anno dopo – come ci racconta il suo leader -. Io sono un musicista professionista che però non aveva mai sviluppato un proprio progetto. Avevo suonato per altri, ho anche una carriera didattica (insegno Pianoforte e Armonia in un’Accademia di musica moderna a Brescia, l’Ottava), per cui avevo deciso di fare un po’ il punto della situazione sul mio percorso musicale e ho fatto questo disco in cui ho espresso tutto il mio amore per la musica black, e per la r’n’b’ in generale, con le ospitate di alcuni amici, colleghi ed anche un mio ex insegnante. Da lì ho fatto alcuni incontri che come sempre sono quelli che determinano un po’ anche i percorsi artistici e nel giro di due, tre anni sono arrivato alla formazione attuale che è quella che si è prodigata per tenere in piedi i concerti dal vivo. Abbiamo realizzato altri dischi, un ep, poi adesso sono usciti due singoli nel 2020. E, tra un mesetto e mezzo al massimo, dovrebbe uscire un album“. La formazione attuale, con il suo fondatore Vittorio Bianchi, è composta dall’ingegnere del suono Arki Buelli alla batteria, con Roberto Gherlone al basso, Andrea Fazzi alle chitarre e Angelo Peli al sax. Completa il team la giovanissima Sofia Anessi, vocal leader.
Vittorio Bianchi, quando è scoppiata la scintilla con la voce di Sofia?
“Sofia è una ragazza molto talentuosa. Ha compiuto da poco vent’anni. L’incontro è avvenuto a scuola dove insegno. Lei aveva 12 anni quando è entrata in questa scuola, l’ho vista salire sul palco e ha lasciato non solo me a bocca aperta, incantato a sentire come cantava già a quell’età. Poi è rimasta nella scuola per qualche anno e poi quando si è trattato di scegliere la vocal leader definitiva per il progetto è stato abbastanza semplice, anche perché lei ha questa attitudine, questo amore per la musica nera che è subito evidente a chiunque la ascolti. Nel frattempo sono diventato anche suo produttore artistico, perché lei scrive anche, quindi ha un suo progetto. Per adesso la partnership artistica prosegue abbastanza bene“.
I due singoli di cui parlavi sono “Do It” e “The Week” e sono quelli che precedono il lancio dell’album che uscirà a febbraio. Puoi dirmi qualcosa del nuovo disco: quale sarà il titolo, quante tracce conterrà e quale viaggio in note e parole ci attenderà nell’ascoltarlo?
“Il titolo sarà ‘Unstable’ (‘Instabile’), per il quale esiste anche una titletrack. Conterrà ovviamente anche ‘Do It’ e ‘The Week’, oltre ad altri nostri inediti e ad un paio di cover che per coincidenza hanno un titolo molto simile, una è ‘For Once in My Life’ resa famosa da Stevie Wonder e l’altra è ‘Once in a Lifetime’ che è un vecchio standard di musical anglosassone, quando ho sentito quella melodia mi è piaciuta molto e l’ho riarrangiata in chiave ‘r’n’b. L’album dal titolo segue un po’ il fil rouge di un periodo un po’ difficile della mia vita sotto vari aspetti, quindi tutti i titoli e tutti i testi più o meno fanno riferimento a una qualche difficoltà che io affronto sempre in modalità positiva, perché l’album non è ‘pesantone’, anzi il contrario. Ho sempre usato la musica per uscire dai problemi più che usarla per sottolinearli. ‘The Week’ in particolare, l’ultimo pezzo che ho scritto, rappresenta l’uscita da questo periodo di difficoltà. Dal punto di vista stilistico è un album in cui gli ascoltatori sicuramente possono ritrovare un po’ di quella che viene definita l’old school ‘r’n’b. Io stilisticamente faccio riferimento sia all’r’n’b degli anni Sessanta, Settanta, ma tantissimo anche agli anni Novanta, con gruppi come Incognito e Brand New Heavies che sono un po’ i miei riferimenti e sicuramente quello che abbiamo trovato e che è piaciuto anche all’Irma Records, che ci ha accolto nella sua casa, è stato sicuramente il suono al di là delle composizioni. Il nostro è un suono particolare, molto asciutto, con strumenti tradizionali – batteria, basso, Fender Route, chitarra e voce – e poi tutti gli arrangiamenti sono finiti anche con fiati, cori, con un atteggiamento quindi che raramente si trova oggigiorno, soprattutto nel ‘r’n’b contemporaneo che in realtà è un pop un po’ camuffato dalla musica black“.
Perché se fate musica black vi chiamate Lostinwhite?
“Quando è stato scelto Lostinwhite si faceva riferimento al mio cognome, Bianchi, ed ho i capelli bianchi fin da ragazzo, quindi era un po’ giocoforza e poi il riferimento alla musica nera è l’aspetto ironico del nome del progetto, un po’ come dire: ci piace molto la musica nera, però purtroppo siamo bianchi! Così siamo persi nel bianco…“
Quali sono i vostri riferimenti musicali della musica black?
“Ce n’è tantissimi, ma quello a cui devo più di tutti è Stevie Wonder per quanto riguarda gli anni Sessanta e successivi, sicuramente anche Michael Jackson per l’aspetto un po’ più pop e anche per i grandi musicisti e arrangiatori di cui si è circondato come Quincy Jones per esempio, che è un altro mio riferimento importante. E poi direi tutto il movimento Acid Jazz degli anni Novanta, progetti come ti dicevo prima quali Incognito e Brand New Heavies. Direi oggigiorno anche alcuni progetti molto interessanti, secondo me, come gli MF Robots“.
Questo periodo di attesa come lo stai vivendo?
“È giocoforza che, essendo sparito completamente il live, riesco a dedicare un po’ di energia nella scrittura di un futuro album. Purtroppo il live è ancora una chimera, non si capisce più quando potremo ritornare a calcare i palchi. Questo è anche un peccato per l’album in uscita. Cercheremo di fare qualche concerto in streaming, cerchiamo di farci vedere sui social, però è chiaro che si è liberato un po’ di tempo per portare avanti la scrittura dell’album del 2022. Ho già scritto qualche pezzo, almeno mi porto avanti con questo“.
Cosa vorresti trovare alla fine di questo tunnel chiamato Covid?
“Credo che purtroppo ci sarà forse una sorta di selezione, parlo dello scenario musicale, di chi ce l’ha fatta a resistere. Ti dico che personalmente conosco diverse persone che hanno anche dovuto cambiare lavoro per intenderci. Quindi ci saranno quelli che sono riusciti a resistere e probabilmente accoglieranno la voglia di musica, svago, divertimento e di ascolto del pubblico. Credo che sarà un momento molto bello. Mi immagino qualcosa come la fine di una guerra sostanzialmente, non credo che sarà molto diverso, e sarà difficile capire come funzionerà il mercato in quel momento, anche proprio il mercato del live che è sempre stato molto particolare, molto fluttuante, a volte anche poco meritocratico. Non so come lo ritroveremo, speriamo di resistere fino al momento buono, perché un progetto del genere ha anche dei costi di produzione che non sono indifferenti. Cerchiamo di tenere botta fino al momento buono. Credo che l’aspetto positivo sarà proprio il fatto che il pubblico avrà voglia di sentire musica dal vivo, di uscire dal mondo dello streaming, del digitale che può dare soddisfazione, ma è anche molto diverso dal contatto diretto palco-pubblico“.
Mi regali un passaggio di una tua canzone, una strofa che possa essere un messaggio di speranza per il futuro?
“Il pezzo che si adatta di più è ‘The Week’ che nel suo ritornello enuncia ‘Seven days to take my fears away’, cioè ‘Sette giorni per lasciar andare via tutte le mie paure’. Questo sicuramente dell’abbandono della paura è un tema che riguardava me personalmente quando ho scritto il pezzo, ma credo che sia anche il grande tema di adesso per tutti di poter vivere senza paura al di là dell’atteggiamento che si ha rispetto alla pandemia. Credo che anche i più ottimisti o anche i più negazionisti o anche i più coraggiosi, chiamiamoli come vogliamo, abbiano di fondo un’inconscia paura a fare le cose che si dovrebbero poter fare normalmente“.