Leiner, quando la vita riesce a sorprenderti
Quando è stato adottato aveva 6 anni, nelle immagini di allora sembra piccolissimo. “Le condizioni alimentari in Colombia erano abbastanza drastiche, ero abbastanza deperito. Mia madre mi racconta sempre che quando sono stato adottato pesavo 16 chili che era niente, tipo mio padre mi tirava su con una mano“. Da allora ad oggi si è preso la rivincita con la vita. “Mi cimento nella cucina. Io sono molto per il salato, qualsiasi cosa che sia pasta, pizza, posso mangiarne a gogo veramente tanto. Sono anni che cerco di fare una buona carbonara, ma non ci sono ancora riuscito, cioè viene ma non come quella di Roma, non capisco qual è l’ingrediente segreto. A volte ci sono quelle ricette così semplici, ma allo stesso tempo complesse nell’equilibrio“. Sono al telefono con Leiner, nato ad Apartado in Colombia il 23 giugno 1997 e che ora vive a Zugliano, in provincia di Vicenza, circondato dall’amore di mamma Gloria e papà Francesco. In una canzone uscita da poco, “Casa nostra”, racconta tutto il calore di cui oggi è avvolto. Ma il nome Leiner che origine ha? “È un nome tedesco, non ne ho mai saputo l’origine. Magari significa ‘portatore di sole’“. Se fosse così sarebbe “Leiner” di nome e di fatto, perché ha un carattere cordiale, luminoso, gioviale.
Leiner, un tuo pregio e un tuo difetto?
“Partiamo dai difetti. I miei difetti sono sicuramente l’essere una persona non costante, la mia difficoltà è avere una programmazione giusta. Magari inizio dei progetti, poi a metà li mollo. C’è da dire che la parte artistica è molto difficile da programmare. L’ispirazione viene un po’ quando vuole arrivare. A differenza di altri artisti mi rendo conto che io però sono ispirato di più quando sono felice. Di solito la maggior parte compone nei momenti tristi, nelle debolezze. Io di solito riesco ad esprimermi quando sono sereno“.
Evidentemente all’altro vuoi comunicare soltanto gioia. Questo è un pregio.
“Il mio vero pregio è che so entrare in empatia con le persone. La trovo una cosa molto importante, soprattutto per quello che voglio fare. Mi piace ascoltare le persone, soprattutto perché fanno da condimento alle mie storie, da ingrediente alle canzoni che voglio scrivere. È bello anche vedere le storie delle altre persone soprattutto a livello psicologico. Io sono veramente innamorato dell’essere umano in sé perché ha mille sfaccettature e ogni cosa poi ha tanti significati. È molto bella questa cosa“.
Hai un poeta di riferimento a cui ti abbeveri per esprimere l’umanità?
“Uno che mi piace tantissimo è Giuseppe Ungaretti, nonostante sia abbastanza cupo nella scrittura, ha un modo di esprimere determinati concetti che sono una cosa veramente bella. Poi a livello musicale dà anche un po’ il senso di ciò che effettivamente sono le parole in una canzone, riuscendo a trasmettere con poche parole un concetto gigantesco“.
Come nasce la tua passione per la musica?
“Nel lontano 2003, quando sono stato adottato dalla Colombia. È sempre stato un rapporto un po’ particolare con la musica. Le passioni nascono in modo spontaneo. Da piccolo ascoltavo un sacco di musica. Mia madre mi aiutava a leggere testi musicali e da lì mi sono veramente appassionato a questo mondo. Da piccolo volevo fare il ballerino. Io ero un bimbo molto iperattivo, non riuscivo a stare fermo neanche in classe, quindi i miei genitori volevano trovare un modo perché io mi sfogassi. Il calcio non era il mio, perché non riuscivo a mandare in rete una palla neanche per sbaglio, e quindi mi sono iscritto ad un corso di hip hop e da lì ho iniziato a ballare ed è durato per più di dieci anni“.
Quando la passione per tutto ciò si è trasformata in professione?
“Non è ancora successo. Ancora ho bisogno del sussidio dei miei genitori (ride, ndr). Diciamo che ho iniziato ad avvicinarmi in un ambito più professionale ai 14 anni, quando ho deciso di prendere lezioni di canto in primis perché avevo idoli, miti tipo Michael Jackson, Justin Timberlake, che erano artisti poliedrici nel senso che ballavano e cantavano contemporaneamente ed era una cosa che personalmente mi affascinava molto. Da lì ho iniziato a prendere lezioni di canto, poi a 16 anni ho detto: è arrivato il momento di mettersi in gioco e di confrontarsi. Mi sono iscritto a X Factor, un po’ per sfida personale, ero molto giovane e molto acerbo con tanti complessi dentro di me, tuttavia però alla fine è stata una bella esperienza, è andata bene. Sono arrivato fino alla semifinale che per me è stato un risultato molto inaspettato“.
Cosa significano nel tuo percorso il talent da solista e il Festival di Sanremo con i Dear Jack?
“I talent diciamo che sono in generale sempre una bella esperienza, al giorno d’oggi soprattutto restano uno dei pilastri per affermarsi o entrare in modo anche abbastanza importante all’interno della scena musicale, poi è difficile restarci dentro. X Factor è stata un’esperienza che dal punto di vista musicale mi ha arricchito molto. Ho avuto modo di lavorare con professionisti del settore e di lavorare con cantanti nazionale e internazionali che hanno condiviso le loro storie. Sanremo è stata invece una cosa un po’ più nostrana. Ho avuto il modo e l’onore di conoscere appieno la realtà italiana, quindi artisti che c’erano in gara, altri esterni e soprattutto ho avuto l’onore di calcare quel palco che è stata un’esperienza peggio delle montagne russe“.
Un’esperienza che rifaresti?
“Un’esperienza che fino all’anno scorso non avrei rifatto, devo essere molto onesto. Ne sono rimasto abbastanza provato. La prima volta avevo 18 anni, quindi ero veramente giovane in questo mondo che è un colosso, veramente possente come esperienza. A distanza ormai di 4 anni, oggi mi piacerebbe rifare Sanremo, perché ne ho una consapevolezza diversa, sono un po’ più maturo sulle scelte che intraprendo“.
Quando i Dear Jack hanno registrato la sigla della serie “Che Dio ci aiuti” tu non eri ancora in formazione. Ti piacerebbe lavorare a colonne sonore?
“Ho fatto qualcosa a livello web per qualche canale youtube, creando sigle e colonne sonore, ma per tutto il resto non ho ancora avuto questo onore. Mi piacerebbe davvero molto perché l’ambiente cinematografico è davvero bello, lo assaporo guardando serie come ‘Skam Italia’, che offre un punto di vista moderno e contemporaneo, e osservando artisti“.
C’è un cineasta in particolare per cui vorresti lavorare?
“Paolo Sorrentino è un colosso. Una volta ho fatto un provino per un suo film, ‘Loro’. Poi non andò per svariati motivi, anche lì ero molto piccolo. Solo il fatto di aver fatto un provino è stato interessante. Fa ridere che dovevo fare la parte di un calciatore che come ti dicevo io non so calciare neanche mezzo pallone, non era proprio il ruolo adatto a me ma è stata bella l’esperienza. A questo mondo mi sono avvicinato con i musical“.
Certo, hai doti anche di interprete visto che hai fatto i musical “Madagascar” e “Priscilla la regina del deserto”…
“Ero Re Julien in ‘Madagascar’. È stato un musical divertentissimo. Abbiamo fatto un tour in Italia e poi abbiamo fatto anche un’ospitata televisiva in Spagna, dove ho esibito anche il mio spagnolo. È stata un’esperienza magica. In ‘Priscilla’ interpretavo Miss Understanding, che era un po’ la presentatrice dello spettacolo, e poi invece facevo Jimmy, che era l’indigeno che avevano trovato nel deserto. È stata anche questa un’esperienza fantastica, soprattutto per l’aver collaborato insieme ad altri artisti molto importanti all’interno del mondo musical, quindi Cristian Ruiz, Simone Leonardi, veramente personaggi molto riconosciuti in questo mondo in Italia“.
Qui hai avuto modo di mostrare anche le tue qualità di ballerino…
“Sì, soprattutto in ‘Madagascar’, anche in ‘Priscilla’ ovviamente perché poi il musical abbraccia anche il ballo e la danza. Però soprattutto in ‘Madagascar’ che c’era un mood molto più africano, molto più latino, e lì mi sono veramente divertito. In ‘Priscilla’ è stato bello interpretare una drag queen, per me è stata una rivelazione, scoprendo lati di me stesso a cui non mi sarei mai interessato se non avessi avuto questa occasione“.
Adesso inizi il tuo percorso da solista con la GreyLight Records e con un brano, “Casa nostra”, che ti racconta: come ha preso il via questo progetto?
“Il produttore Fabio Serri, che conosco da anni e con cui ho fatto i musical ‘Madagascar’ e ‘Priscilla’ perché era il direttore artistico musicale, è da anni che riconosceva il mio ‘talento’ e che voleva collaborare insieme. Sette mesi fa è nata questa etichetta, la GreyLight Records, e mi ha chiamato subito, a giugno, ed è iniziato un percorso nuovo ed interessante per me in cui c’è Leiner nel vero senso dell’essere come singolo per la prima volta. Abbiamo pubblicato la prima canzone e stiamo andando avanti. Sono già soddisfatto della prima canzone, ho avuto dei buoni risconti di cui vado veramente fiero. Sono curioso di sapere cosa ci riserverà il futuro“.
Prima di parlare del domani, voglio sapere se “Casa Nostra” vuole essere un ringraziamento, vuole essere un simbolo del mondo delle adozioni e se entrerà a far parte anche del bagaglio di una onlus…
“Sì, hai centrato appieno la fine e il senso. La canzone l’ho scritta l’anno scorso pensando alla mia famiglia, a come avevo iniziato questa nuova vita in Italia, quindi vuole essere una celebrazione al fatto di essere stato adottato, al fatto di avere proprio una casa. Successivamente poi la canzone ha preso forma insieme a Fabio Serri, il produttore, e nello stesso momento ho conosciuto Manuel Bragonzi, che è il presidente di un’associazione per figli adottivi con cui ho avuto modo di stringere amicizia e soprattutto di confrontarmi sulle nostre vite, e da lì mi ha aiutato a rendere questa canzone una realtà in un’accezione più grande, fatta di tanti altri ragazzi adottati come me che spesso neanche hanno tutta questa voce. Quindi da lì ne è nato anche il video, una bella collaborazione“.
È stato bello condividere momenti intimi nel videoclip che ha Antonio De Bonis ed Elisa Marangon alla regia?
“Bellissimo, perché non ho mai avuto la certezza che ci fossero tante altre persone come me. Il fatto di aver conosciuto l’associazione (ANFAD, Associazione Nazionale Figli Adottivi) mi ha fatto realizzare quante altre storie soprattutto in Italia ci sono. È stato emozionante soprattutto ricevere i primi video di ragazzi e vedere che avevamo percorso a grandi linee lo stesso tratto di strada“.
Nonostante il periodo non permetta di fare progetti a lungo termine, come procederà questo percorso da solista?
“Stiamo lavorando su nuove canzoni. Il futuro mai come ora è incerto, quindi si naviga a vista, c’è tanta nebbia davanti. Al momento la progettualità grande non c’è, si va avanti a piccoli passi. Ci sarà la pubblicazione di nuove canzoni nei prossimi mesi e poi si capirà come andranno. Bisogna capire anche cosa recepisce il pubblico“.
All’inizio di quest’anno quali propositi hai fatto?
“Dopo che l’anno scorso dicevo che il 2020 era il mio anno, poi tac, ho smesso di fare propositi perché non si sa come vanno le cose in questi anni. Una cosa che mi sono prefissato è comunque di impegnarmi sulla musica, di dare veramente il massimo e di continuare a studiare musica, canto, cercando di impegnarmi. Un altro proposito è di tenermi in forma“.
Hai un motto?
“Può sembrare religioso, ma ha un’accezione molto più grande ed è: non perdere mai la fede. La mia vita mi ha dimostrato che a volte si sta nel buio, nel fango ma non perdendo la fede alla fine ti ritrovi sempre dove dovevi stare. Sono veramente felice. Questo è un po’ il mio motto: cercare di stare bene in qualsiasi situazione, perché se si lavora bene, se si fanno le cose con testa e spensieratezza, ci si ritrova sempre dove ci si deve ritrovare. Poi veramente la vita mi ha dato grandi esperienze e tante cose di cui vado molto fiero“.