“La geografia del buio” di Michele Bravi: un album in cui le emozioni si fanno tangibili
Emoziona il progetto discografico “La geografia del buio” del 26enne umbro Michele Bravi. A distanza di quattro anni da “Anime di carta”, questo nuovo concept album (disponibile su tutte le piattaforme digitali e in formato cd da venerdì 29 gennaio) apre uno squarcio su ciò che l’artista ha dentro. “È un disco che nasce dalla solitudine, la mia voce per tanto tempo è stata in silenzio. Ora ha ricominciato a cantare ed anche a parlare. Questo disco è una grande riflessione sul dolore“, dice Michele Bravi alla stampa che lo ascolta in streaming. Partendo dal libro “Diario di un dolore” di C. S. Lewis, Bravi racconta: “Questa mia geografia del buio comincia due anni fa quando lo scrittore Andrea Bajani mi dice che la musica non salva da niente, però aiuta a disegnare il labirinto. Da qui nasce ‘La geografia del buio’. Non è un disco che aiuta ad uscire dal buio, ma si scopre il modo per condividerlo dando uno spazio al dolore. Il buio, il dolore, va messo al centro“. Al tempo stesso, però, “forse è il disco d’amore più grande, ma parto dal dolore, affinché condividere la forza del mio buio possa aiutare. Le cose iniziano a cambiare quando cominci a capire che il dolore non ha senso. La persona a cui ho dedicato il disco ha condiviso con me il dolore. Quando il dolore entra nell’esistenza, la risposta più semplice che si dà è ‘aspetta che passi’; invece riveste un’importanza fondamentale saper ascoltare il dolore. Con la terapia Emdr ho dato una casa a quel dolore, dando un disegno a quel labirinto che avevo percorso. Io non riuscivo a decifrare il reale con una spiegazione logica, ma avevo bisogno di aneddoti. Così è risbucato fuori dalle lezioni di francese delle Medie la storia del signor Eiffel che decide di fare la torre a Parigi“. Un critico lo attacca perché deturpa la città con un “animale di metallo”, ma Eiffel risponde osservando che, intanto, il critico sta sempre dentro la sua costruzione, “sempre lì a godere di quello che io ho creato”. Ma il critico controbatte: “Io devo stare nella sua costruzione perché in ogni punto vedo quell’obbrobio, l’unica cosa, quindi, è starci dentro”. Anche qui “l’unico modo per convivere col dolore è starci dentro. Questo disco era un bisogno, un’urgenza di cristallizzare un momento nero simile alle allucinazioni dell’acqua che entra in casa“. L’intero progetto discografico è stato prodotto da Francesco “Katoo” Catitti, che aveva già in precedenza collaborato con Michele Bravi. “È un disco narrativo – dice Catitti -, fatto di voce e piano, un pianoforte verticale che Andrea Manzoni è stato bravissimo a suonare”. “Tutto il disco ruota attorno alla mia voce e al pianoforte – sottolinea Michele Bravi -. Tutto il disco è stato registrato nel salotto di casa di Francesco. C’è dentro il suono del traffico, del frigorifero, del quotidiano, dell’immaginario che tutti viviamo. È stato fatto un lavoro di sottrazione, il silenzio ognuno lo riempie con la sua storia. Si avverte il cigolare della sedia davanti al pianoforte, il respiro di chi lo suona. Abbiamo imparato a convivere con l’imperfezione del disco: la voce è sull’orlo della stonatura, il pianoforte scricchiola“. È un disco che vive di un corpo pieno di dolore che prova a continuare a vivere, una sensazione richiamata anche da tutti i visual del disco che “si apriranno sempre con un occhio perché il disco racconta ciò che è successo dentro” e che nella copertina mostra “oggetti abbandonati pregni di storie dimenticate, la foto dei miei nonni, il cappellino con cui mi coprivo per mettere la testa fuori di casa e la coperta che mi ha accompagnato sul divano grigio dove sono rimasto muto per tanto tempo e dove, poi, ho ripreso a rincontrare gli amici“, scoprendo “l’umanità di persone insospettabili, come Fiorello, Maria De Filippi, Fedez e Chiara“. Quanto è stata terapeutica la scrittura? “Il dolore è un fatto enorme che entra nella tua vita. È importante che sia affrontato col cinismo con cui si affronta una malattia. Il dolore si porta in uno studio medico e poi arriva la musica che lo decifra ma non lo cura”. “Il disco doveva uscire un anno fa. Nasce sul legno di un palcoscenico più di due anni fa al teatro San Babila di Milano. Poi, il nostro mondo è cambiato. Spero che il live ci sia, lo vivrò come un regalo“. Rispetto all’amore LGBTQI, argomento a cui Michele Bravi non si è mai sottratto ma che riteneva utopisticamente superato in nome di un mondo ideale diventato reale, oggi ha una nuova posizione: “L’amore è un atto pubblico quale che sia la sua forma, sempre rispettando l’individualità di ognuno, che sia pronto di manifestarlo oppure di restare protetto. È meraviglioso oggi rivedere il primo bacio e sentire il sapore del bacio, non ascoltando più la voce che ti dice che forse stai facendo la cosa sbagliata“. La terra natìa? “Sono stato cresciuto dai miei nonni che mi hanno insegnato il valore della resilienza, quando penso all’Umbria vedo loro che sono umbri doc. Non sono credente, ma alla Porziuncola di Assisi trovo sempre un’energia enorme“. Le letture di Michele Bravi sono tutte delle perle, tra i libri letti in questo suo percorso “Il sussurro del mondo” di Richard Powers (vincitore del Premio Pulitzer 2019 per la narrativa) e “L’amore ai tempi del colera” di Gabriel García Márquez (Premio Nobel per la letteratura). Due, invece, le canzoni del cuore: “C’è tempo” di Ivano Fossati, “forse una delle canzoni italiane più belle, racconta la pazienza nel fare un percorso“, e “La costruzione di un amore”.
Guida ai brani di “La geografia del buio”
“La promessa dell’alba” (F. Abbate, M. Bravi, F. Catitti, Cheope) spiega il percorso svolto dall’artista per trovare la mappa che lo ha aiutato a orientarsi nel buio.
“Mantieni il bacio” (F. Abbate, F. Catitti, Cheope, M. Recalcati) esprime l’amore ricevuto (“Mantieni il bacio sono le parole che Massimo Recalcati ha usato per proteggere il mistero dell’amore in uno dei suoi libri, lo stesso mistero che questa canzone cerca di custodire. Lo stesso che per mesi mi è stato suggerito sul divano grigio di casa mia mentre attraversavo il buio”).
“Maneggiami con cura” (F. Abbate, M. Bravi, F. Catitti, Cheope) è una dichiarazione totale di fragilità.
“Un secondo prima” feat. Federica Abbate (F. Abbate, F. Catitti, Cheope), l’unico brano con una collaborazione, racconta che quando si è colpiti da un forte dolore si crea una frattura nell’animo, non esiste un prima o un dopo, ma due modi di sentire e vivere diversi (“Federica Abbate è una delle persone più importanti della mia vita, come un elastico al polso: quello che ti serve sempre quando sei scompigliato e che appena lo togli ti lascia la traccia sulla pelle, pronto a raccoglierti ancora e ancora e ancora”).
“La vita breve dei coriandoli” (F. Abbate, G. Anastasi, M. Bravi, F. Catitti, Cheope) è uno dei pezzi più intimi dell’album, cantato per la prima volta al Teatro di San Babila a ottobre 2019 (“Questa canzone è il racconto personale della voce che mi ha guidato attraverso il buio, della persona che mi ha insegnato la forza travolgente della condivisione del dolore e che ha saputo proteggere la mia voce quando non riusciva a parlare, difendendola da un silenzio che pensavo fosse eterno e insuperabile. Questo disco esiste perché me l’ha chiesto lui”).
“Storia del mio corpo” (M. Bravi, F. Camba, F. Catitti) descrive la mancanza di aderenza al reale causata dal trauma, è una dedica d’amore al proprio corpo perché tutte le storie vissute sono scritte sulla pelle (“Il mio percorso attraverso il buio è stato possibile con l’aiuto dell’Emdr, un modello clinico e un metodo scientificamente validato d’eccellenza per il trattamento di tutti i tipi di trauma”).
“Tutte le poesie sono d’amore” (F. Abbate, M. Bravi, F. Catitti, Cheope) descrive come l’amore possa squarciare il buio creato da un forte trauma. Michele racconta la sorpresa di riconoscersi in altre vite, nonostante le storie e i percorsi diversi (“La particolarità del percorso di un’esistenza non può isolarti dal mondo. Traiettorie semplici e complesse di vite differenti si incontrano, come linee della mano, in un luogo di umanità e comprensione e quel senso di solitudine claustrofobica del buio lascia spazio a gesti d’amore potenti e veri”).
“Senza fiato” (F. Abbate, Cheope) è il pezzo più ritmato dell’album e parla di come sia possibile tornare alla quotidianità. (“Per chi ha incontrato in maniera forte il peso dell’imprevedibile, vivere la quotidianità è una prigione costante sotto l’insostenibile peso di un dramma potenziale. Questa canzone è una dichiarazione d’intenti di chi, passo dopo passo, si affaccia fuori dalla porta di casa e smette di nascondere il proprio viso sotto un cappello di lana”).
“Quando un desiderio cade” (F. Abbate, M. Cerri, Cheope) è la cover di una canzone di Federica Abbate, la quale fa un cameo all’interno della traccia. Nella vita nulla è definitivo, da un momento all’altro tutto può cambiare, quello che prima sembrava stabile improvvisamente scompare, come una stella che cade. (“Il 16 gennaio di due anni fa, in un momento in cui per me ancora il silenzio era l’unica parola, ho ricevuto un messaggio da Federica: ‘Questo spazio di silenzio ci darà modo di capire. Ti mando una cosa’. Dopo quel messaggio, una nota vocale (che nascondo nel disco). Questa canzone. Era importante avere ‘Quando un desiderio cade’ nella mia ‘geografia del buio’ perché questa canzone, per la prima volta, mi ha fatto cantare davanti allo specchio sopra la voce di un’amica che ha avuto il coraggio di scriverla e inciderla prima di me”).
“A sette passi di distanza” (M. Bravi) è un pezzo completamente strumentale, senza voce. Michele suona il pianoforte, raccontandosi come quando ancora non riusciva a farlo con le parole (“La prima canzone che ho scritto durante il silenzio e l’ultima che descrive gli spazi del mio buio. È un brano che ho sentito bisbigliare tra i tasti del pianoforte verticale in salotto dopo che qualcuno mi aveva chiesto, in una lunga nota vocale, di tornare a parlare e soprattutto di tornare a cantare. La mia voce non si sente nel pezzo ma c’è, è solo nascosta ancora. Le mani che suonano il pianoforte sono le mie, incerte e timide. Quella persona a cui il disco è dedicato è ormai dall’altra parte del mondo e non è più una presenza della mia quotidianità. Gabriel García Márquez per descrivere la distanza geografica di due amanti che si rincorrono per una vita scrisse: ‘Non erano a sette passi di distanza ma in due giorni diversi'”).