Paolo Consorti, quando il film è una tela da dipingere
“Sperimentare è un’avventura. La sperimentazione è quando ti rimetti in discussione nel mentre realizzi un’opera, addirittura negando cose che avevi progettato che torni a riconsiderare e a rivisitare“, così l’artista e regista Paolo Consorti (San Benedetto del Tronto, 9 agosto 1964) che ha lanciato da poco su Prime Video “Anime Borboniche”, un film che si alimenta di sperimentazione come già altri sui lavori in passato, ad esempio, “Il sole dei cattivi”.
Paolo Consorti, cosa ti ha portato a Caserta per raccontare quella terra attraverso “Anime Borboniche”?
“In realtà, era un progetto che parte da lontano. Il film rispecchia un qualcosa che a me è accaduto realmente, tanto che c’è pure la mia presenza fisica nel film. L’artista millantatore (Marchegiani), quello che poi non si fa mai vedere, ricercato disperatamente dal povero Borriello, in pratica sono io. Questa cosa è un po’ vera perché effettivamente io avrei dovuto fare una performance filmata anni prima con un produttore che mi stava dietro, però poi questa idea non usciva fuori, nel senso che non ero convinto. Dopodiché è arrivato Guido Morra, il coautore e coregista del film, mio amico. Parlando, abbiamo voluto trasformare la performance filmata in un film. All’inizio lui sulle rovine della mia prima idea, che s’intitolava ‘Bagno di Venere’, scrisse la storia ‘L’amore vero’ e ho accettato l’avventura. Quello che è successo dopo è che ‘nel mentre’ ‘L’amore vero’ si è trasformato in ‘Anime borboniche’. La scintilla è arrivata quando per reclutare questi figuranti che fanno le rievocazioni all’interno della Reggia di Caserta, abbiamo conosciuto questi ragazzi bravissimi che suonavano e cantavano e che ci invitarono ad altre rievocazioni che facevano nei paesi circostanti Caserta. Quando ci andammo, ci venne questa idea di ‘Anime borboniche’, che trasfonde questa purezza che loro hanno su un amore che non è un’idea politica, ma il senso dell’arte, il fatto di creare senza un risultato materiale, senza un tornaconto, ma solo per la gioia di farlo. Questa cosa ha dato la nuova anima a tutto il film“.
Il video che avresti dovuto realizzare era per la Reggia?
“No, non era un video per la Reggia, era un video mio, utilizzando il set della Reggia, in quel caso il Bagno di Venere, un laghetto all’interno del Giardino Inglese della Reggia, dove c’è una scultura, Venere. Da lì mi ero un po’ ispirato, ma era un linguaggio prettamente performativo ed artistico, non cinematografico, quindi era un’idea molto diversa, poi è diventata un film“.
Perciò in “Anime borboniche” si vede il Bagno di Venere?
“Sì, ci siamo tornati, c’è la scena dove il povero assistente che si chiama Marco lo va cercando e questo artista sprovveduto sta a farsi il bagno con le ragazze, le dame. Sì, siamo tornati nel luogo del delitto“.
L’input della mancanza d’ispirazione, che può ricordare la poetica di “Otto e mezzo” di Federico Fellini, non si avverte quasi… Mentre comunichi, come se fosse in 4D, il calore di quella terra…
“L’idea di ‘L’amore vero’ è quel mix tra arte e cinema che si portava dietro la storia di un marito e una moglie un po’ improbabili che però erano tutto ‘core’ casertano e che partecipavano a queste rappresentazioni. ‘Anime borboniche’ ha ampliato un pochino questo concetto di appartenenza e anche di purezza“.
Come ti consideri in questo momento: un artista a 360 gradi o un artista che sta sposando sempre più il linguaggio cinematografico?
“Non è facile risponderti. Certo il mio background è tutto con le arti visive, le arti contemporanee, quindi, come sempre dico, ho avuto questo raptus cinematografico a 50 anni, anche se il cinema era un sogno nel cassetto, era un qualcosa che ho sin dai tempi dell’Accademia di Belle Arti. Avevo, infatti, frequentato anche la sessione scenografia. Mi ricordo che ci fu una parentesi molto illustre proprio lì in Accademia con dei disegni che feci e che piacquero molto a Sergej Bondarčuk che aveva in progetto un film in costume su Dante con dei flash sulla Divina Commedia. Mi invitarono addirittura a Mosca per ispirarmi. Mi avevano messo tutto a disposizione, ma poi il film non si è fatto, a parte che Sergej si ammalò e aveva dei problemi purtroppo più importanti. Al di là di questo esito, questa cosa mi caricò tantissimo, però da lì in poi ho cominciato a fare mostre. Realizzai la prima personale a Palazzo Ducale di Urbino nel 1991 e da lì, siccome è partita bene la cosa, mi ha assorbito la pittura e tutto il mondo dell’arte contemporanea con le Gallerie. Ho vissuto sempre d’arte. Poi a 50 anni ha bussato alla mia porta il cinema, ma si è palesato pian piano. Io volevo fare un cortometraggio, che poi è diventato il lungometraggio ‘Il sole dei cattivi’, il primo film che ho fatto. Era ideato in maniera che doveva essere quasi una candid camera all’aperto in un presepe vivente con un Erode improbabile che andava ad infastidire un po’ tutti, un po’ alla Sacha Baron Cohen. Chiamai Luca Lionello per fare questa cosa e lui fu meraviglioso. Ci siamo divertiti parecchio. Lui andava veramente a braccio e cercava in qualche maniera di coinvolgere chiunque e provocare. Ovviamente eravamo spalleggiati dall’associazione del Presepe Vivente, loro sapevano, ma pure loro erano un po’ disorientati da questa figura strana che era questo Erode clandestino dentro un Presepe vivente normale creato da brava gente: Erode arrivava mezzo ubriaco e faceva casino. Tutto ciò era la scusa per riflettere sul tema del presepe, della fede, di tutto quello che oggi significa, meglio, se ha un senso oggi… La cosa ci è piaciuta molto e lo stesso Luca mi ha spinto a fare anche ‘La passione vivente’. In questo caso chiamai Nino Frassica che faceva Caifa. Però non potevo giocare con la candid camera perché Nino Frassica è conosciuto da tutti. Quindi la seconda parte del film ha un’altra struttura. Le ho unite e hanno dato vita ad un lungometraggio. È un film molto sperimentale, molto sinistro, però a tanti è piaciuto. Adesso lo abbiamo messo su Amazon, ma non ha avuto mai una distribuzione vera e propria. Tornando alla domanda, io direi che non è che ci sia una grande differenza, una scissione tra l’artista che dipinge e il cineasta. Io penso di poter fare il regista e l’artista, a parte che l’hanno coniugato in tanti. Ovviamente io penso sempre a un film vero, senza voler essere per forza poetico, ma come fosse una tela da dipingere, quindi mettere spontaneità in un film. Certo con la tela hai solo i colori, nel film hai tantissime persone con le quali doverti confrontare ed accordare… La pittura non l’ho mai abbandonata, c’ho pure provato, ti dico la verità, però poi ritorna sempre il pennello, torna sempre la voglia di dipingere e poi arriva la mostra… Non è che facendo cinema, uno lascia la pittura. La pittura è come mangiare e dormire per me, fisiologica“.
In questo momento a quale dei due linguaggi, pittura o cinema, ti stai dedicando?
“Entrambe le cose perché ho tanti progetti. Sto scrivendo dei film e, allo stesso tempo, procedo con la pittura realizzando dei paesaggi astratti, chiamiamoli così tanto per semplificare“.
Quest’anno ricorrono i 700 anni dalla morte di Dante, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, tornerai su di lui con un nuovo progetto?
“Dante e tutta l’idea dantesca è stata sempre la mia vita, lì c’è tutto – Inferno, Purgatorio e Paradiso -, sono dentro a tutto. Per me Dante nasce con me. Non ho un particolare attaccamento per la ricorrenza. Lui c’è sempre. Sono sempre pronto a fare un qualcosa di più puntuale in tal senso. Tra l’altro feci un corto sul terzo Canto dell’Inferno, quello sugli Ignavi, una cosa molto particolare, era il 2006“.
Visto che hai realizzato tanti lavori che s’interrogano sulla religione e la fede, la tua affinità con Dante è dettata proprio dal tuo rapporto col sacro?
“Il sacro ispira tutto per me: è una ricerca di un qualcosa che va oltre quello che si vede. Certo, veniamo da una cultura religiosa molto circoscritta, molto puntuale e quindi uno ha poi il bisogno, la necessità di uscirne, di capire e sapere più cose. Però è una necessità spirituale che ho sempre avuto, quindi assolutamente qualsiasi cosa faccio ci entra da sempre, sia a livello cinematografico che a livello artistico“.
Hai lavorato con Elio e Le Storie Tese ma anche con Sergio Cammariere, e hai realizzato pure dei video per il talent musicale “X Factor”: che rapporto hai con la musica?
“La mia è una fusione totale con la musica. La musica entra come protagonista a gamba tesa sul cinema. Il cinema mi ha dato questa possibilità di entrare a interagire concretamente con la musica, con la pittura resta solo mentale. Nel film che ho fatto con Franco Nero, ‘Havana Kyrie’, la musica è il concept del film, visto che il protagonista è un direttore d’orchestra rossiniano che è costretto a dirigere un coro di bambini a Cuba. La musica è assolutamente una componente fondamentale. Adesso poi tra l’altro ho un progetto di un film con Elio e Le Storie Tese, anche come protagonisti. Spero vada in porto: è un po’ film, un po’ musical“.
Il fatto che tu abbia lavorato per “X Factor” significa che non disdegni neanche il linguaggio televisivo, quindi i talent show in questo caso?
“Allora mi chiamò Elio. Poi piacquero le cose che feci e rimasi anche senza di lui per altri due anni. Tra l’altro feci dei video anche per Morgan ed Elisa“.
La casa di produzione Opera Totale…
“È ideata da me. Per ogni progetto entrano dei coproduttori, dei cofinanziatori. Parto da un’idea e mi propongo tramite Opera Totale. Per ogni film ho partner diversi“.
M’incuriosisce la scelta del nome…
“Proprio perché musica, pittura, cinema, un tutt’uno, una fusione unica ed un po’ il concetto wagneriano, il concetto romantico di ‘Opera Totale’ dove si fondevano tutte le arti“.
Il tuo rapporto con Michelangelo Pistoletto?
“Quando facemmo la performance in ‘Figli di Maam’, film anch’esso sperimentale. Io fui chiamato come artista e non come regista da Giorgio de Finis, direttore del Maam, Museo d’arte contemporanea di Roma, sorto nella zona Prenestina, assediato da barboni e da abusivi che hanno occupato un’ex fabbrica (salumificio), i Blocchi Metropolitani. Fecero una mostra collettiva e io proposi a Giorgio de Finis l’idea di una performance che diventasse film. Tutto ciò che accadeva, il mio performer, era l’opera d’arte vivente. Noi lo filmavamo nel mentre. Ho creato tutto un mondo delirante, avevo pensato anche lì a un connotato fortemente spirituale nel concept. Doveva essere l’immedesimazione di un barbone nel San Giovanni Battista. In qualche maniera questo delira per tre giorni all’interno di questo spazio fino ad arrivare al giorno, non del Giudizio in questo caso, ma della mostra collettiva. E in questa mostra collettiva c’era Pistoletto. Quindi Michelangelo entra in maniera molto performativa, è tutto molto spontaneo: noi camera a spalla, Michelangelo entra in qualche modo nell’opera e allora lì improvvisa la sua parte che sarà quella di svelare, spoilerizzo il film, la vera identità di questo signore che crede di essere San Giovanni Battista. Lui lo svelerà alla fine. C’è il concetto molto bello che è quello delle dita che s’incontrano nella Genesi di Michelangelo, tra Dio e l’uomo, in questo caso abbiamo un artista che rivela alla scultura il suo essere. Quindi è un bel momento, una bella immagine“.
I tuoi modelli di riferimento dal passato, sia figurativi che cinematografici?
“Caravaggio per la pittura e Pasolini per il cinema. Poi potrei fare più nomi. Michelangelo per la pittura e Fellini per il cinema. Ma su tutti direi Caravaggio e Pasolini perché in loro c’era una verità più assoluta, senza filtri, né mestieri, né costruzioni, ma un filo diretto con l’anima. Le loro opere in qualche maniera provengono da lì, senza passaggi ulteriori“.
C’è un verso di una poesia a cui sei particolarmente legato?
“Abbiamo parlato di Dante, la poesia dantesca, specialmente la paradisiaca, il Paradiso si adatta ampiamente a quella che mi ha sempre entusiasmato di più. Però, essendo marchigiano, anche il nostro Leopardi, quindi in qualche maniera sono pure legato alla poesia di Leopardi“.
Stai portando avanti più progetti insieme, qual è quello che uscirà prima?
“Non saprei dire quale sarà il prossimo. Sto cercando di spingere perché ho voglia di fare, però il periodo è quello che è, ed anche incontrare le persone è difficile e da vicino i progetti si spiegano meglio. Però ho quattro, cinque progetti (anche un film da girare nella Regione Marche) ai quali tengo molto, non so quale partirà. Me ne basterebbe uno che partisse, perché una volta che è partito ti tiene per anni. Tra l’altro, una cosa che ho fatto e che è in uscita è uno spot molto carino, così dicono almeno, sul cinqnuecentenario di Papa Sisto V (13 dicembre 1521, Grottammare – 27 agosto 1590, Roma), che è un papa che ha cambiato le sorti di Roma sotto ogni punto di vista, legislativo e urbanistico, però pure un papa un po’ cattivello, che se non facevano le cose che lui diceva poi andava a finire male. Mi hanno dato questa commissione il Comune di Montalto e la Regione Marche ed io ho chiamato il più cattivo degli attori, per fare una cosa ovviamente ironica: è Ivano Marescotti, che mi ha fatto il papa. Io lo faccio arrivare in motocicletta nel suo paese natio, dove però non trova nessuno. Quindi ci rimane male perché pensava che arrivando nel paese natio stavano tutti ad aspettarlo. Non trova nessuno, gira un po’ per questo paese, malinconico e poi gli spuntano dagli angoli, da tutte le parti del paese i concittadini che gli fanno la sorpresa, lo festeggiano e qui parte il ‘Tanti auguri a te’ interpretato da Elio. Tutto questo è raccontato in 30 secondi, una cosa difficilissima, non è proprio la mia cifra lo spot. Però sembra che abbia la sua efficacia. Poi c’è anche il taglio dei 90 secondi dove si capisce un po’ meglio questo racconto“.