“Gelsomina Verde”, restituire la verità senza filtri ad una vittima della camorra

“Sequestrata, torturata, ammazzata con un colpo alla nuca sparato da vicino che le era uscito dalla fronte. Poi l’avevano gettata in una macchina, la sua macchina, e l’avevano bruciata. Aveva frequentato un ragazzo, Gennaro Notturno (detto il ‘Saracino’), che aveva scelto di stare con i clan e poi si era avvicinato agli Spagnoli. Era stata con lui qualche mese, tempo prima. Ma qualcuno li aveva visti abbracciati, magari sulla stessa Vespa. In auto assieme. Gennaro era stato condannato a morte, ma era riuscito a imboscarsi, chissà dove, magari in qualche garage vicino alla strada dove hanno ammazzato Gelsomina. Non ha sentito la necessità di proteggerla perché non aveva più rapporti con lei. Ma i clan devono colpire e gli individui, attraverso le loro conoscenze, parentele, persino gli affetti, divengono mappe. Mappe su cui iscrivere un messaggio. Il peggiore dei messaggi. Bisogna punire”, è il passaggio di “Gomorra” di Roberto Saviano che parla di Gelsomina Verde (Napoli, 5 dicembre 1982 – Napoli, 21 novembre 2004), detta Mina, una ragazza che lavorava in fabbrica e che faceva volontariato aiutando i giovani negli studi per donare loro l’unica vera arma che può dare l’emancipazione da quelle terre in cui scorre il sangue della camorra: la cultura. Ma Gelsomina non è stata fortunata: per un amore finito viene barbaramente uccisa a soli ventidue anni nel pieno della cosiddetta prima faida di Scampia. Il suo nome ha designato il processo tenutosi contro alcuni esponenti del clan Di Lauro. Solo che Gelsomina detta Mina non aveva nulla a che fare con la camorra, tranne che condividere la terra natia e essersi innamorata di un ragazzo. “Poi la storia tra loro è finita – come continua a scrivere Saviano -. Quei pochi mesi però sono bastati. Sono bastati per associare Gelsomina alla persona di Gennaro. Renderla ‘tracciata’ dalla sua persona, appartenente ai suoi affetti. Anche se la loro relazione era terminata, forse mai realmente nata. Non importa. Sono solo congetture e immaginazioni. Ciò che resta è che una ragazza è stata torturata e uccisa perché l’hanno vista mentre dava una carezza e un bacio a qualcuno, qualche mese prima, in qualche parte di Napoli”. Nella prima stagione della serie televisiva “Gomorra” è presente un personaggio, Manu (interpretato da Denise Perna), a lei ispirato, che appare nel nono episodio intitolato per l’appunto Gelsomina Verde. Ma in merito non sono mai stati contattati né i genitori, né il fratello di Mina. Oggi in maniera forte, con un taglio che non indugia sulle tre esse che fanno audience – sesso, sangue e soldi -, un film restituisce tutta la drammaticità della vicenda, dando la parola anche al fratello Francesco. S’intitola “Gelsomina Verde”. È diretto da Massimiliano Pacifico (al suo primo lungometraggio) che, grazie al lavoro del laboratorio teatrale di Davide Iodice, riesce a filmare tutte le sfumature emozionali e di riflessione di una storia che squarcia gli animi. Bravissimi i cinque attori – Pietro, Peppe (di un altro quartiere difficile di Napoli, la Sanità), Margherita, Simone e Maddalena (nata anche lei a Scampia come Gelsomina) – che si sono messi allo specchio della verità e dell’essenza dell’umanità notte e giorno in due intense settimane di lavoro nella residenza teatrale di Polverigi (Ancona) nelle Marche. Ma nessuno sconto è stato fatto alla vicenda, neanche si è taciuto il risarcimento del clan alla famiglia.

I FATTI TRA IL COSTITUIRSI PARTE CIVILE E IL RISARCIMENTO – I genitori della ragazza sono stati gli unici a costituirsi parte civile nel procedimento penale che si è concluso il 4 aprile 2006 con la condanna all’ergastolo per Ugo De Lucia, considerato l’esecutore materiale dell’omicidio, e la condanna a sette anni e quattro mesi per il boss Pietro Esposito. Nella sentenza depositata il 3 luglio 2006 si rileva che “nessun cittadino del quartiere di Secondigliano e dintorni, nel corso delle indagini, e prima ancora che esplodesse la cruenta faida di Scampia, abbia invocato, con denuncia o altro modo possibile, l’aiuto e l’intervento dell’autorità. Sembra, e si vuole rimarcarlo senza ombra di enfasi, che ad alcuno dei superstiti e parenti delle vittime, specie se ancora residenti a Secondigliano, è mai interessato chiedere ed ottenere giustizia, instaurare un minimo, anche informale, livello di collaborazione con le forze dell’ordine, tentare, in vari modi, di conoscere i possibili responsabili, ma è evidente che solo arroccandosi tutti dietro un muro di impenetrabile silenzio, hanno visto garantita la propria vita”. Il 13 dicembre 2008 Cosimo Di Lauro è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Gelsomina Verde perché ritenuto mandante dell’omicidio. L’11 marzo 2010 lo stesso Di Lauro, pur non ammettendo la responsabilità del delitto, ha risarcito la famiglia di Gelsomina con la somma di trecentomila euro. In seguito al risarcimento la famiglia della vittima ha rinunciato a costituirsi parte civile. Nel dicembre 2010 Cosimo Di Lauro è stato assolto dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio.

IL FRATELLO FRANCESCO – Francesco Verde ha collaborato in tutti i modi a questo film. “Non è importante parlare della storia di mia sorella, da noi vengono ammazzati tanti innocenti. Questo film è significativo a livello nazionale perché dà la possibilità di far riflettere”, afferma Francesco Verde in conferenza stampa streaming. “Grazie a Massimiliano Pacifico, attraverso questa storia in chiave cinematografica abbiamo dato la possibilità di un chiarimento a tante domande che sono rimaste all’oscuro. La camorra ha ucciso Gelsomina Verde, ma i pregiudizi hanno ucciso la sua famiglia. Da lì la sceneggiatura del film che non racconta la vita di Gelsomina Verde, ma il suo profilo, quello di una ragazza che quando parlava del doposcuola diceva: ‘A questi ragazzi offro la possibilità di essere liberi, perché la cultura li rende liberi. Con la cultura si ha la possibilità di scegliere cosa fare ed io vorrei che avessero consapevolezza delle loro scelte'”.

IL PRODUTTORE GIANLUCA ARCOPINTO – Nelle note di produzione (il film è prodotto da Lama Film, Bartleby Film con Rai Cinema), Gianluca Arcopinto scrive: “Questo film è un atto dovuto, da quando nel 2014 con Francesco Verde, fratello di Gelsomina, e con alcune associazioni dell’area nord, tra cui il Comitato Vele di Scampia e Insurgencia, abbiamo deciso di far nascere il Collettivo Mina, che si chiama così proprio in onore di Gelsomina Verde. Lo dobbiamo alle persone che continuano a combattere perché lo Stato per troppo tempo non l’ha riconosciuta vittima innocente. Lo dobbiamo a noi stessi che vogliamo continuare a trasmettere la voglia di raccontare, gettare uno sguardo verso il futuro, fare politica, ripartire ancora una volta verso nuovi orizzonti con il sogno e l’utopia di sempre. Lo dobbiamo soprattutto alla memoria del papà e alla mamma di Gelsomina, come dice il fratello Francesco ‘condannati all’ergastolo del dolore’, puniti più duramente degli assassini della figlia. Perché il dolore che ti spezza la vita rimane. Senza permessi, senza licenze, senza sconti, senza fine pena”. Quando nasce l’idea del film, Gianluca Arcopinto stava lavorando a “Gomorra”. Dal Collettivo Mina nacque prima il corto “114”, numero che corrispondeva a quello di Gelsomina quale 114esima vittima della camorra nel 2004. “Fatto questo corto con la partecipazione già di Maddalena Stornaiuolo (attrice), ci siamo ritrovati a fare il lungometraggio per raccontare la vicenda senza prestare fianco alla spettacolarizzazione – spiega Arcopinto in conferenza stampa streaming -. Una delle problematiche post realizzazione è stato lo sfruttamento del film che per me doveva essere una distribuzione ad eventi per poterne dibattere. La pandemia ci ha travolto (il film sarebbe dovuto uscire al cinema ad inizio 2020, ndr). Non possiamo più aspettare, necessariamente adesso dovevamo uscire, ma stiamo uscendo in un momento in cui viene da chiedersi perché non è in sala. Ma le sale aperte ora sono poche e hanno bisogno di film che incassino, non di film così piccoli. L’intento di uscire sulla piattaforma 1895 (dal 29 aprile) è perché non è un editore, è fatta da alcune sale di qualità. Ciò che mi dispiace è che non ce ne sia nemmeno una di Napoli, ma una volta che ci saranno più sale aperte organizzeremo eventi in presenza, anche nelle arene”. Arcopinto aggiunge una considerazione: “Io sono per un cinema che faccia ragionare e che non sia omologato ai gusti imposti alla gente. La stragrande maggioranza dei film italiani sono deludenti. Dal punto di vista di senso e significato ‘Gelsomina Verde’ è importante”.

IL FILM – A Polverigi (An), sede di un importante festival di teatro e luogo in cui una vecchia villa è stata adibita a foresteria per ospitare compagnie e artisti da tutto il mondo, è il giorno in cui inizia ufficialmente un progetto teatrale sulla morte di Gelsomina Verde, fortemente voluto dal regista Davide Iodice. Alla spicciolata arrivano i cinque attori giovani scelti per mettere in piedi lo spettacolo che lavoreranno per due settimane in una full immersion che li porterà a confrontarsi e scontrarsi con i propri personaggi. E in parte anche tra di loro.

IL REGISTA MASSIMILIANO PACIFICO – “È un film coraggioso per la scelta di narrare questa vicenda in un ibrido tra documentario e film di narrazione- racconta il cineasta napoletano classe 1978 in conferenza stampa streaming -. Le immagini di repertorio sono molto dure. Ci sono anche le riprese del funerale da parte di un videoamatore amatoriale, un funerale che per disposizioni di ordine pubblico non poteva vedere la partecipazione se non della famiglia, ma che col passaparola ha visto la presenza di tanti. Francesco ha dovuto lottare per ottenere la giusta commemorazione della sorella. Le esequie sono state fatte dopo una settimana. Ho voluto l’incontro tra Francesco e gli attori per alzare il livello di responsabilità degli attori. Francesco è presente nel film come se stesso: racconta e si racconta, anche in un monologo molto difficile per lui dal punto di vista emotivo, che viene poi ripreso dall’attore Pietro Casella. Ho coinvolto il drammaturgo Davide Iodice anche nella scrittura di questo film che avveniva anche nelle riprese, perché tutte le parti sono improvvisate, quindi pure gli attori sono stati cosceneggiatori del film. È un film che vuole esporre pure le contraddizioni. Ha avuto una gestazione lunghissima. Mattoncino su mattoncino siamo riusciti a far prendere forma al film anche dopo la fine delle riprese, con la costruzione creativa al montaggio. La residenza teatrale è durata due intense settimane”.

IL DRAMMATURGO DAVIDE IODICE – “Questo film è stata un’avventura particolare, profonda, alla quale ho tentato di sottrarmi. Mi lega la conoscenza di Francesco, che è uno degli attori che frequentano questo laboratorio teatrale permanente che io faccio. Provengo anch’io da zone in cui il disagio e l’emarginazione di alcune fasce sociali sono palpabili – dichiara Davide Iodice in conferenza stampa streaming -. Nel film abbiamo riprodotto le modalità in cui costruisco i miei processi di lavoro. La compagnia è un gruppo sociale che deve esprimere la sua idea su un tema che sta a cuore. In due settimane di lavoro abbiamo fatto teatro civile, cinema civile. È stata una grande esperienza di sperimentazione in cui tutti abbiamo provato a scardinare il linguaggio oleografico criminale. A Napoli si è imposta una oleografia della città come sorta di grande laboratorio criminale in cui tutti parlano di come si carica un’arma, in cui tutti ambiscono ad una comparsata in ‘Gomorra’. Le fasce a rischio vedono nella serie tv una possibilità di impiego, non di riscatto. Linguisticamente abbiamo lavorato sul piano dell’allegoria: non c’è la messa in scena di ammazzamenti, ma la traduzione in un linguaggio metaforico di questi accadimenti. Quello che ho cercato come regista teatrale, è di far emergere delle soggettive dei vari attori in campo senza formulare alcun giudizio. Nei territori da cui provengo c’è questo elemento del giudizio di colpevolezza che deve essere sostituito con la responsabilità non individuale, ma sociale: dietro ogni vittima, che sia innocente o colpevole, c’è una responsabilità sociale molto forte, ci sono famiglie dimenticate e l’abbandono scolastico”.

L’ATTRICE MADDALENA STORNAIUOLO: “È un film necessario, nato e cresciuto nel territorio di Scampia”, dice in conferenza stampa streaming l’attrice Maddalena Stornaiuolo, che a pochi giorni dall’omicidio di Gelsomina Verde (era il 21 novembre 2004) patisce l’assassinio di un suo familiare. “Sono legata doppiamente a Gelsomina Verde, come storia personale e da attrice, anche se attrice e persona qui sono unite, mescolate. Qui c’è metateatro, metarealtà. È stata una scelta coraggiosa questa di Massimiliano Pacifico di prendere una linea registica del genere. Ci abbiamo messo sangue e sudore per restituire verità. Ognuno, certo, si farà la propria opinione, ma la storia è raccontata senza filtri”.

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