Lena A., una voce raffinata e “intellettiva”
Lena A., un nome d’arte nato da un soprannome dato dalla tua migliore amica e una “A.” puntata come il tuo nome, Alessandra: una scelta artistica in cui col passare del tempo continui a riconoscerti? “Sì, assolutamente, anche perché è una scelta che ho fatto poco tempo fa e soprattutto volevo che fosse una scelta autentica, come credo che sia. Poi un soprannome legato alla sfera affettiva penso che sia difficile da cambiare all’improvviso. Quindi sono molto contenta e continuo a crederci parecchio“. Ha costruito un universo musicale elettronico ma allo stesso tempo cantautorale ricco di spunti di riflessione e brani altamente poetici con un misto di rabbia, amore e malinconia nell’album “Nuove Stanze” (Uma Records/Sony Music) Alessandra Nazzaro, in arte Lena A., classe 1996, artista partenopea laureata in Filologia Moderna.
Suoni il pianoforte da quando avevi 5 anni: ricordi dopo la scala, il primo motivo che hai suonato?
“Sì, quasi sicuramente un motivo classico, immagino l’Inno alla gioia, perché era uno di quei motivetti che volevo assolutamente imparare da piccola e immagino di aver tartassato la mia insegnante chiedendole di suonarlo, quindi sì, risponderei proprio l’Inno alla gioia“.
I tuoi testi sono molto ricercati: cosa ti dà l’input alla scrittura?
“Sicuramente quello che mi dà l’input, oltre alla realtà che mi circonda e alle emozioni che vivo, sono anche i testi che leggo, soprattutto di letteratura, psicologia. Poi i film influiscono molto. Ma quello che influenza maggiormente sono le storie degli altri: mi piace molto ascoltare quello che gli altri hanno da raccontarmi, soprattutto persone che magari non conosco, quindi non ho la possibilità di filtrare la loro storia attraverso i miei occhi, così mi arriva tutta e cerco sempre poi di trasformarla in qualcosa di nuovo“.
Nel tuo ultimo lavoro, “Nuove stanze”, ci sono sette brani molto raffinati. Mi dai di ognuno di loro una sfumatura da evidenziare?
“Per quanto riguarda ‘Granada’, direi il ricordo della Spagna araba, dato che all’inizio si apre con una serie di suoni che ricordano molto l’idea di stare in una piazza come quella di Granada in cui si sentono molte voci che si sovrappongono. Per ‘Giugno’, la sfumatura del cielo che tra i palazzi non riesce mai a vedersi bene, che è quello che ho evidenziato all’interno della canzone. Per ‘Pineta’, quella di sentirsi costretti durante la notte a vivere delle emozioni che non si vogliono vivere, quindi la costrizione e l’immaginazione di qualcosa di possibile, ma al momento irrealizzabile. ‘Non sono Roma’, direi, l’accettazione che le cose prima o poi finiscano e quindi è necessario prendere un po’ di coraggio per poterle vivere in maniera differente. ‘Ecco la tua femmina’ ha la sfumatura della consapevolezza di chi si è in questo momento storico come donne e la necessità di affermarsi come tali. Per ‘Adesso cera’, il movimento, l’essere in viaggio continuo nei confronti di se stessi e nei confronti degli altri e il non farsi abbattere dai giudizi che sono un po’ come spade. Per ‘Occhi verdi (outro)’ principalmente la sfumatura è quella della verità, di vivere le cose perché c’è della verità di fondo, di base“.
Granada e Roma sono nei titoli di queste canzoni, in questi ultimi tre anni hai vissuto tra Napoli dove sei nata, Roma appunto e due città spagnole che sono Zaragoza e Santiago: cosa ti ha portato a girare tanto?
“Un po’ la curiosità, un po’ la voglia di opportunità, di poter fare esperienze come quella dell’Erasmus, come quella del Cammino di Santiago e poi l’esperienza lavorativa di fare un disco, quindi spostarmi a Roma per poterlo registrare. Ad oggi vivo a metà tra Napoli e Roma“.
Qual è la tua prossima meta artistica?
“Innanzitutto che questo disco frutti a livello di live, quindi la prossima meta artistica è quella di portare il disco live il più possibile“.
Covid permettendo, farai dei live già quest’estate?
“Spero proprio di sì. Per il momento sono ad Avellino questa settimana e presento il disco, dato che sono campana, io sono di Napoli, quindi sono nella mia terra, però stiamo cercando di costruire una serie di tappe che portino questo disco tra giugno, luglio e agosto, quindi il periodo estivo, live“.
Sei solista ma suoni anche in trio, accompagnata dal contrabbassista Marco Lembo e dal batterista Luca Martino: come ti dividi tra questi due progetti?
“In realtà è un unico progetto, perché ad oggi suono con il contrabbassista Marco Lembo ancora, ma con il batterista Luca Martino abbiamo interrotto il nostro sodalizio artistico, semplicemente perché prima mi occupavo di swing e jazz e suonavamo in trio proprio come il jazz vuole. Invece, ad oggi, la dimensione elettronica mi ha portato a costruire un qualcosa di differente che vede me alle tastiere, Marco Lembo ancora al contrabbasso e Giovanni Carnazza, che è il produttore del disco, provvedere per tutto il comparto di synth, elettronica, tastiere e quant’altro“.
La tua musica in una parola come la definisci?
“La definisco intellettiva“.
Qual è la strofa che hai scritto in cui ti rispecchi di più?
“Ti si vede solo a tratti come il cielo tra palazzi“.