Marco Bonadei, tutte le nuance della comicità
Com’è girare un film ai tempi del Covid, diretti da un Premio Oscar ed interpretare il ruolo di Samuele Verona, cinico proprietario di un night pronto a tutto pur di diventare un comico di successo? “Innanzitutto, lavorare con Gabriele Salvatores prima ancora che un onore è un privilegio, perché si legge in lui veramente la sapienza di un uomo per il quale il cinema è la sua vita e la sua vita segna il cinema internazionale, nel senso che davvero vedi nelle sue parole, nel suo dirigerti una visione totale di quello che sarà il lavoro, una chiarezza, un andare dritti al punto. Però, al tempo stesso, è apertissimo ad ascoltare l’attore, ad ascoltare l’interprete, a cogliere sul momento la verità, quello che accade, lo spunto d’improvvisazione che apre nuovi orizzonti. È una bellissima mescolanza, un bellissimo connubio fra la coscienza di quello che si vuole ottenere e il lasciarsi stupire da quello che accade sul set. Ed è una grande scuola, perché lavorare un mese e mezzo sul set a Trieste, tra l’altro chiusi proprio per il periodo Covid per tutelare la troupe, per tutelare il lavoro, è come stare in una bolla assieme a Gabriele Salvatores“. Così Marco Bonadei, tra i protagonisti di “Comedians”, al cinema il 10 giugno. Per quanto riguarda il suo personaggio, spiega: “È uno dei ruoli del film, un film che parla di un’Italia che davvero va allo sbando ed è un’Italia che cerca un’autoaffermazione, una rivalsa sociale. Il mio personaggio, in particolare, è assetato di fama, di successo, di arrivare in un mondo in cui il successo è facile per pochi e per poco tempo“.
Marco Bonadei, nel cast del film ci sono anche Ale e Franz con cui hai lavorato alle interviste impossibili del programma comico di Rai2 “Fuori Tema”: com’è stata questa avventura artistica e quali differenti sfumature di comicità rilevi tra il film di Salvatores e questa trasmissione?
“Sono due operazioni completamente differenti. Il film di Gabriele è cinema, un percorso che abbiamo costruito insieme in un mese e mezzo in mano a un maestro che ti guida passo, passo. L’incontro che c’è stato con Ale e Franz è stato meraviglioso, ha poi portato a una collaborazione ulteriore e successiva. Noi non ci conoscevamo con Alessandro e con Francesco, è stato il film a farci incontrare, e poi loro mi hanno richiamato per collaborare insieme a questo progetto che è stato molto divertente davvero, perché poi sono aperti, amano giocare, giocare, giocare, giocare. Nel nostro mestiere il gioco è tutto“.
Quale valore ha oggi la comicità in Italia e quali differenze puoi rilevare nella declinazione cinematografica e in quella televisiva?
“Se mi parli di che valori ha oggi in Italia la comicità è uno dei temi principali del film stesso, nel senso che una delle domande che si pone il film, che si pone quindi il testo teatrale (di Trevor Griffiths, ndr) da cui parte il film di Gabriele è: si può ridere di tutto oggi? È davvero possibile ridere di tutto? E che ruolo e che valore ha la comicità nella nostra società? Deve avere un valore sociale? Deve raccontare qualcosa d’altro oltre che far ridere? O è puro intrattenimento? È un momento così spensierato dove si stacca dalla vita? Oppure è proprio lo strumento con cui uno può con una risata indagare la vita e farsi delle domande? Insomma, può uno tornare a casa cambiato da quello che ha visto e sentito? Una risposta non te la so dare. Come non te la sa dare forse il film, ed è questa la grandezza, secondo me, di ogni opera d’arte complessa, che apre delle domande, che ti lascia qualcosa su cui interrogarti e non ti dà una sua risposta netta, definita, chiusa, categorica. Tra il film e il programma tv, la comicità è decisamente differente, nel senso che nel programma di Ale e Franz tutto si fonda su meccanismi comici che hanno come obiettivo primario quello di essere comici. È un programma variegato che ha diversi format al suo interno, dal talk allo sketch classico della panchina loro, come a sketch più fiction dove si è in situazioni specifiche e sono girati più a livello cinematografico. Il film di Gabriele, è, invece, un film che non ha come obiettivo quello di far ridere benché faccia ridere, perché al suo interno ha diversi comici con una grande abilità a sapere anche il testo stesso, ha degli spunti comici molto forti, ma non è quello il suo fine ultimo, il suo obiettivo“.
Il 7 luglio debutterai in prima nazionale al Teatro Elfo Puccini di Milano con lo spettacolo “Nel Guscio”, versione scenica dell’omonima opera di Ian McEwan, ideata da Cristina Crippa. Puoi anticipare qualcosa di questo spettacolo?
“Assolutamente sì. Anche questo è uno spettacolo con una forte ironia, ma è innanzitutto un giallo, un thriller. Quello che noi vediamo in scena è un feto all’ottavo mese di gravidanza, rappresentato in maniera ben poco realistica, dal momento che l’interprete sono io, un cristo di un metro e 90, però grazie all’immaginazione e al potere del teatro noi ci ritroviamo all’interno di un utero e questo feto sente le voci di una madre che ha un amante che scopre poi essere suo zio, e che la madre e l’amante stanno ordendo un piano diabolico: uccidere il padre del bambino e fuggire. E lui si trova in questa situazione, una situazione in cui deve scegliere cosa fare, benché essendo un feto ben poco può fare e le tenta tutte, compreso il suicidio con cordone ombelicale. Poi tu leggi l’intestazione del libro e c’è la citazione, la frase che dice questo: ‘potrei vivere in un guscio di noce e essere Re di uno spazio infinito se non fosse la compagnia di brutti sogni’. E allora lì capisci che è una riscrittura in chiave contemporanea, totalmente rielaborata dell’Amleto di Shakespeare, e per ogni attore avere anche solo come spunto Amleto è, banale a dirsi, un’attrazione fatale. In più col Teatro dell’Elfo con cui abbiamo una collaborazione da dieci anni è stato meraviglioso costruire questo spettacolo che non vediamo l’ora possa andare in scena e incontrare il pubblico. Ci saranno due settimane di spettacolo quest’estate a luglio e si spera anche le prossime stagioni possa vedere altre piazze e teatri“.
Attore, ma ti sei testato anche nella regia: che programmi hai per i prossimi dodici mesi? Su quali fronti sarai impegnato? Tornerai anche a girare fiction?
“Ci sono diversi progetti in ballo ancora non confermati, ma ci stiamo lavorando a livello audiovisivo, mentre in teatro tornerò sulle scene in una coproduzione del teatro Puccini e del teatro Stabile di Torino, oggi Teatro Nazionale, con ‘Moby Dick alla prova’ che è una riscrittura di ‘Moby Dick’ fatta da Orson Welles per un suo spettacolo e per un suo film che non andò mai a concludersi come molti altri progetti di Welles, con la regia di Elio De Capitani“.
Come definiresti il sodalizio artistico con la danzatrice e coreografa Chiara Ameglio, compagna anche nella vita oltre che nella ricerca teatrale?
“Prima siamo stati fidanzati, nel senso che la collaborazione nasce in seguito. Lei mi ha coinvolto in un suo progetto che fa parte di una trilogia, lo spettacolo in particolare si chiamava ‘Trieb-L’indagine’ (2019), a livello di collaborazione alla regia. Lì nasce la nostra collaborazione concreta sul campo, in sala prove e poi in scena, dove lei è l’unica interprete, e ha risvegliato in me un’antica passione che riguardava più la mia adolescenza e i primi anni di lavoro in teatro che è la passione della maschera e della scultura, quindi mi sono riappropriato di alcune tecniche che avevo nel tempo abbandonato e grazie a questo lavoro sono ritornato sia a scolpire che a realizzare sculture, maschere, sia all’utilizzo scenico e alla ricerca in palcoscenico. Ora con Chiara così come con altri collaboratori, compreso Vincenzo Zampa che è un altro attore del film con cui stranamente e meravigliosamente c’incontriamo costantemente su diverse situazioni lavorative, sia come scritturati che come progetti nostri, stiamo fondando una Compagnia che si chiama ‘La Variante Umana’. Il nome non è scelto a caso, nel senso che oggi sentiamo parlare tanto di ‘varianti’ per le condizioni in cui versa l’intero Pianeta e per noi, essendo un gruppo variegato di cinque persone, molto variegato come esseri umani e artisti che coprono diverse competenze, devo dire che il nome più azzeccato che abbiamo trovato è proprio questo, ‘La Variante Umana’“.
Tu sei di Genova, hai studiato a Torino, hai questa collaborazione importante a Milano: la sede della Compagnia quale sarà?
“Milano. È dove abbiamo il nostro fulcro, il nostro centro, sia lavorativo che di vita. È una città che nonostante la crisi che ha subito durante il periodo Covid è prolifica, è viva, è reattiva, artisticamente interessante per il panorama italiano e merita di essere vissuta e sfruttata anche“.
Mi regali una battuta di un film, di uno spettacolo teatrale, di qualcosa che ti ha toccato veramente tanto?
“Regalo una battuta di ‘Comedians’. Riguarda proprio quella voglia che l’italiano ha, non solo l’italiano ma noi parliamo agli italiani prevalentemente, ha di arrivare al successo, di arrivare ad essere riconosciuto. La battuta dice molto chiaramente: ‘Io voglio il cinema, voglio il teatro nazionale. Non me ne frega un cazzo, non me ne frega davvero un cazzo di quel posto che mi ha lasciato mio padre. Quello va bene per te’. È molto semplice, ma è quello che racconta di più, per quanto mi riguarda, di questa spinta all’autoaffermazione“.