Aurelio Gatti: “Lo spettacolo dal vivo è nutrimento per le comunità”
“Non sappiamo noi stessi se chiamarlo festival o una grande festa o performance”, così il maestro Aurelio Gatti che ci introduce alla corte del Palazzo Ducale di Castelnuovo di Porto – conosciuto come Rocca Colonna -, a soli 20 minuti da Roma (sulla via Flaminia), per “The Artists at Work”: la due giorni – venerdì 15 e sabato 16 ottobre dalle ore 16.00 alle ore 20.00 – dedicata agli artisti e ai lavoratori dello spettacolo. La manifestazione coinvolge oltre trenta artisti – tra attori, cantanti, danzatori, musicisti, pittori, fotografi, videomaker e lightdesigner -, in veste ora di autori ora di interpreti. Motto della rassegna è la frase di Albert Camus: “La vera generosità verso il futuro consiste nel donare tutto al presente”. “Tutto è nato di ritorno da una tournée a fine agosto, quando gli organici di tre compagnie si sono incontrati per caso alle due e mezza di notte in un autogrill – racconta Aurelio Gatti, ideatore del progetto assieme a Luca Piomponi -. In quell’occasione ci si è raccontati come stava andando l’estiva con tutte le limitazioni immaginabili del caso e ci dicevamo: ‘dobbiamo fare qualcosa insieme, non una vetrina delle singole compagnie ma qualcosa che abbia un carattere di novità’. Quindi in settembre si è cominciato a mettere insieme i tasselli del mosaico, a sentire le disponibilità, ed è nato questo filo rosso che racconta di tanto teatro, tanta danza e tanta musica, tutto finalizzato, una volta ancora se non è stato chiaro, al fatto che lo spettacolo dal vivo assolve sia a una funzione culturale-estetica sia a quella di essere nutrimento per le comunità. Questi artisti ritengono inscindibile il rapporto tra la comunità sopra il palcoscenico che fa lo spettacolo e la comunità che lo ascolta e assiste: solo dall’incontro di queste due comunità nasce quella cosa straordinaria che chiamiamo spettacolo dal vivo. Quindi l’operazione è stata incasellare dentro un filo rosso che è quello del donare al massimo nel presente tutto quello che è possibile quale presupposto del futuro, come diceva Camus. Lo spettacolo dal vivo, che effettivamente vive e muore in una giornata, in una piazza, in un incontro, ha questa caratteristica di essere generoso nel presente e il presente, anche se in pandemia o post-pandemia, ha radunato molti artisti e molte figure intermedie che poco si conoscono, tipo i disegnatori di luci e i tecnici, attorno a un’idea: ‘facciamo una sorta di manifesto che sia un programma’. Quindi da qua ognuno ha dato il suo contributo per offrire quegli elementi, quei testi, quelle musiche, quelle danze che meglio attenessero a questo progetto: se ci deve essere una ripartenza evitiamo di esibire tutto il parterre di autoreferenzialità ‘Io sono il teatro’, ‘Io sono la danza’, ‘Io sono under 35’, ‘Io sono…’. La comunità per intiero, sottraendosi ognuno delle referenzialità o di linguaggio o di carriera, tende a un qualcosa che veramente possa significare cosa può essere lo spettacolo dal vivo oggi. Noi continuiamo a ribadire, senza referenziarci degli archetipi di ‘Il teatro civile’, ‘Il teatro sociale’, che il teatro è l’opportunità di avere un tempo e uno spazio veramente inclusivo in cui si è in grado di riflettere e di ascoltare, due condizioni che durante la pandemia sono state esercitate da una comunità silenziosa, quale la comunità civile, che ha rappresentato il primo baluardo, magari censurandosi nelle proprie libertà personali (spostarsi, fare incontri, avere una vita sociale) e questo è stato un qualcosa che – prima ancora che i vaccini, prima ancora che i regolamenti – si è posto la comunità. A fronte di questa comunità, ugualmente la comunità dello spettacolo dal vivo, in tutte le sue arti e discipline, risponde e ha saputo rispondere non sempre cercando di avere un’attività edonistica d’intrattenimento, perché in quel momento altri erano gli argomenti. Noi parliamo di una pandemia che è venuta subito dopo un periodo di grande stagnazione per lo spettacolo. Non possiamo, quindi dire, ripartiamo e facciamo finta che sia stata una brutta parentesi, questo sarebbe veramente imperdonabile”. Di fronte ai problemi di oggi – da quello dei giovani a quello ambientale – “c’è un disagio umano molto esteso, di fronte al quale la parola d’ordine che mi viene in mente è Camus, con la generosità nel presente per assicurare un futuro: un problema che riguarda non i singoli, ma le comunità: bisogna essere partecipi del presente per vedere schiarire le ombre che si palesano. Il problema dello spettacolo è urgente, ma solo pochi giorni fa c’era un conflitto sociale in atto addirittura motivato dal vacciniamoci-non vacciniamoci. Ormai le comunità stanno collassando, quindi quale migliore auspicio se non avere delle occasioni, tempi e luoghi, in cui tutto questo venga raccontato con i toni della coesistenza e convivenza, cose che il teatro ha nel suo dna? Non ci può, infatti, essere uno spettacolo che non preveda almeno dieci professionalità diverse da quello delle luci a quello dell’audio, da quello che segue le prove a quello che scrive e quello che recita. Bisogna essere generosi per assicurarci un futuro in prospettiva”. Un messaggio in bottiglia? “È sufficiente avere la certezza di portare subito, il prima possibile, questo dialogo in tutti gli ambiti che ci sono possibili per non sentirsi per l’ennesima volta da soli. Quello che contestiamo è il fatto di permettere la parcellizzazione dei nostri problemi, ma non è il problema tipo degli immigrati o delle mamme: è un problema unico. Bisogna tener conto che la complessità non può essere sempre ridotta alla semplicità, perché non sempre fa un bel servizio: oggi è un momento complesso e merita una risposta esemplare, unitaria”. Un primo passo è quindi l’appuntamento “The Artists at Work” dove andrà in scena “un piccolo spaccato di performance, una originale e due del proprio repertorio, di ogni artista” in cartellone. Il sipario è su una rocca perché come spazio senza divisione tra palcoscenico e platea “mette a confronto le due comunità: una situazione di contiguità tra artista e pubblico, una coesistenza delle due comunità che si ascoltano”.