La sala cinematografica non deve morire
All’estero le sale cinematografiche sono ripartite, in Italia no. Per avere un’idea di ciò che sta accadendo, basta vedere il confronto tra Italia e Francia nel 2021. Nel nostro Paese i cinema hanno riaperto il 26 aprile registrando un calo del 70% di incassi e del 73% di presenze rispetto all’anno pre-pandemico, in particolare l’incasso complessivo è stato di circa 170 milioni di euro per un numero di presenze pari a 25 milioni di biglietti venduti. In più, un solo film italiano è nella top ten degli incassi (“Me contro Te – il mistero della scuola incantata” con 5.097.100 euro). In Francia si viaggia su altre cifre: la riapertura è avvenuta il 19 maggio e l’anno ha registrato 96 milioni di presenze complessive, inferiore certo al 2019 (213 milioni) ma migliore del 2020 (65 milioni), con tre film francesi più una coproduzione nella top ten degli incassi. Cosa accade? In Francia il pubblico sta tornando in sala, premiando ancora le produzioni nazionali, mentre in Italia gli spettatori sono reticenti e non scelgono i film nostrani, la cui quota di mercato è scesa al 20%. Nello specifico, su 353 film di prima programmazione usciti nei nostri cinema, 153 erano italiani, ma rappresentano solo un quinto degli incassi e per di più solo la metà hanno battuto cassa, per dirla tutta in realtà solo 4, 5 film hanno registrato presenze degne di nota, il restante della produzione non è arrivato per nulla al pubblico, non incidendo per niente sull’esito del botteghino. Si producono tanti film in Italia, ma come mai non convincono il pubblico italiano? Le sale cinematografiche che sono l’anello fragile della filiera audiovisiva odierna sono il riflesso di quale distorsione? Quanto c’entra la situazione segnata dal Covid, quanto la cattiva qualità dell’offerta, quanto la concorrenza delle piattaforme on demand? Una mappa della situazione si è cercata di tracciarla alla conferenza stampa della Presidenza nazionale Anec (Associazione nazionale esercenti cinema), unitamente ad Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) e Fice (Federazione Italiana Cinema d’Essai), per denunciare un immobilismo istituzionale che rischia di compromettere la sopravvivenza delle sale cinematografiche. Rispetto al 2019, Cinetel, che raccoglie gli incassi e le presenze in un campione di sale cinematografiche di prima visione in tutta Italia, conta 500 sale in meno. Negli ultimi 24 mesi i cinema hanno affrontato chiusure e riaperture imposte in maniera alternata ed ogni volta, predisponendosi a dichiarate azioni di ripartenza, si sono dovuti confrontare con misure restrittive sempre più stringenti. Una prima boccata di ossigeno è stata annunciata per il 10 marzo prossimo, con il ripristino del consumo di cibo e bevande nei luoghi di spettacolo. Ma la sostenibilità economica e d’impresa delle sale, a differenza di altri comparti, è molto a rischio. Anec, Acec e Fice si appellano agli spettatori e agli addetti ai lavori, ma soprattutto alla politica che delinei le priorità per far sì che i cinema tornino ad essere un settore vitale per la ripresa del Paese. Le associazioni di settore evidenziano come l’Europa è tornata al cinema ed i governi stiano agevolando la fruizione delle sale cinematografiche, con un 2021 che si è chiuso ovunque con una crescita rispetto al 2020, mentre in Italia si continuano a perdere spettatori. Pronuncia a fatica la parola “sopravvivenza” parlando dei cinema Mario Lorini, presidente Anec. “Fin dal primo momento le sale, compresi tutti gli spazi all’aperto, sono stati soggetti ad ingresso solo con Green Pass, successivamente si è elevato il livello di sicurezza imponendo il green pass rafforzato, ed ancora obbligo di mascherine FFP2 dal giorno di Natale – ricorda Lorini -. Le sale hanno cercato di reagire lavorando sulla ripartenza per almeno tre volte negli ultimi due anni, ma si sono dovute piegare alle forti restrizioni che ne limitano l’attività. Non possiamo più continuare così, anche alla luce dell’apertura completa che si sta annunciando nei Paesi europei per il nostro settore. La Francia, ad esempio, il 28 febbraio toglie la mascherina in sala. Dalla politica italiana vorrei un calendario preciso, che non è più procrastinabile. L’esercizio sa che deve trasformarsi e lo stava già facendo prima della pandemia, ma è un’esperienza aggregativa a cui non si può rinunciare ed oggi può rappresentare il ritorno alla socialità. La politica è chiamata a fare scelte. Queste riguardano anche le finestre d’uscita tra l’approdo in sala e le piattaforme che in nazioni come la Francia sono anche di 6 mesi. Servono delle regole e la politica deve prendere decisioni”. I cinema rappresentano tanto per la società: Gianluca Bernardini di Acec sottolinea come “le sale della comunità siano un presidio sociale e culturale. L’adozione di regole certe e ragionevoli non riguarda solo la capacità di attrarre il pubblico nelle prime settimane di programmazione, ma anche lo sfruttamento da parte dei cinema di profondità nelle settimane successive, con centinaia di sale (e di arene estive) che ormai programmano film in contemporanea con le piattaforme e le televisioni, quando non se li vedono negare del tutto”. A fronte di oltre 900 produzioni italiane approntate o in fase di completamento, al 99% finanziate dallo Stato, non più del 35% sembra destinato alle sale cinematografiche, sempre più spesso facendovi capolino prima di dirottare su piattaforme e tv. “A fronte di una produzione che cresce, occorre capire se si valorizza quello che viene prodotto – afferma Domenico Dinoia, presidente di Fice –. Il pubblico è disorientato sulla possibilità di vedere un film in sala. Necessita un provvedimento che ristabilisca seriamente un rapporto tra uscita in sala e approdo sulle piattaforme. Bisogna creare un movimento culturale tra tutti quelli che amano il cinema di tutto il mondo, ricostruendo il rapporto con il pubblico grazie all’impegno di tutti. Serve una maggiore promozione dei film ed un lavoro collettivo per ricreare la partecipazione del pubblico. Con l’allentamento delle misure, ci sarà maggiore possibilità di andare al cinema. Serve un rapporto nuovo per gestire meglio la programmazione con più varietà e libertà, un dinamismo che garantisca diversità di offerta per il pubblico e ai film di essere maggiormente visti. Soprattutto il cinema d’autore ha bisogno di tempi più lunghi. A fronte di un grosso incremento di serialità e produzioni per le piattaforme, si realizzano sempre meno film pensati per la sala e questo il pubblico lo avverte. Se i film già vengono sviluppati per la visione su smartphone, c’è un problema di produzione e prospettiva”. Le riflessioni e i temi in campo sul destino della sala cinematografica sono tanti. L’attore Fabrizio Gifuni, intervenuto in qualità di consigliere dell’associazione Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), osserva: “L’esperienza in sala come rito collettivo ha la sua unicità, ma è necessario uno sforzo di immaginazione per ripensare i luoghi, sia sale cinematografiche che teatri, con un sistema di regole che funzioni al meglio. Non mancano sale belle, alcune sono straordinarie, ma questi luoghi devono diventare anche qualcos’altro. Nessuno di noi ha la soluzione. Sappiamo che nelle province non si cambia dall’oggi al domani. Ci sono esempi virtuosi come quello del Cinema Troisi di Roma, ma per la sua natura non è replicabile. Ci vuole uno scarto di immaginazione. Noi saremo sempre al fianco delle sale in ideazione e presenza. Credo che le sale continuino ad avere una funzione importante di socialità nel nostro Paese”. Su questa scia corre anche il pensiero del produttore Benedetto Habib (Indiana Production): “La sala deve diventare un’esperienza, non solo di visione film”. Di estrema lucidità è la visione di Luigi Lonigro (presidente Distributori Anica): “Questa industria non si regge più da sola, sta soffrendo. Il mercato è variegato, dai multiplex alle sale cittadine di tutti i formati. Il nostro mercato è debole, uno dei più deboli a livello europeo. Nel 2019, dopo un grandissimo e faticoso lavoro, i primi mesi del 2020 ci avevano fatto pensare al fatto che i problemi erano risolti e ci trovassimo di fronte a un mercato maturo, poi con la pandemia e la chiusura si è registrato un disastro totale. Sono cambiate le abitudini e la gente si è abituata a vedere il prodotto audiovisivo sullo schermo più piccolo. Fiction ed eventi televisivi hanno realizzato record d’ascolti, trovando nuovo pubblico che non poteva uscire di casa. Oggi 7, 8 milioni di spettatori per una fiction è consueto, prima erano numeri solo appannaggio di prodotti del calibro di Montalbano. Oggi solo l’esclusività può riportare gli spettatori in sala. Bisogna riflettere che Netflix aveva serie esclusive quando è partita con la campagna abbonamenti. Abbiamo, quindi, bisogno di un intervento politico forte, che decida se la sala è un presidio culturale che garantisce la vivibilità di molti centri cittadini. Solo con una finestra netta delle uscite sui diversi media si può auspicare un miglioramento. Allo spettatore di oggi manca la motivazione per andare in sala. Abbiamo di fronte un mercato che perde il 75%. In più, il cinema sta perdendo talenti, come Ficarra e Picone che, invece di uscire al cinema, hanno realizzato una serie. Abbiamo un problema di frequentazione della sala”. Cosa accadrà adesso? L’esercizio cinematografico chiede di riaffermare la centralità della sala, ripristinando periodi di sfruttamento congrui a salvaguardia dei diversi media, a cominciare dalla sala cinematografica; ciò vale sia per le produzioni nazionali, come disciplinato fino al 2020, che per le produzioni estere. L’esercizio cinematografico chiede uno sforzo collettivo alla produzione, agli autori e agli artisti italiani per non lasciare che prevalga il consumo domestico di film e si appella alla politica per regole tempestive e certe. Sul tavolo le sale hanno messo ulteriori proposte: promuovere una parziale detassazione del biglietto dei cinema per introdurre una riduzione generalizzata agli spettatori under 18; dare vita a una campagna istituzionale sul Cinema al Cinema; organizzare una Festa del Cinema in primavera, accompagnata da una campagna di comunicazione – e una copertura stampa adeguata – delle uscite cinematografiche perché troppo spesso si abusa della parola Cinema per promuovere altre forme di consumo di film; ritrovare la ricchezza e la certezza dei listini di nuove uscite in sala; assicurare maggiori investimenti dell’industria per bilanciare l’accesso agli spazi televisivi (gli spot milionari acquistati dalle piattaforme durante il Festival di Sanremo sono un esempio lampante). L’esercizio cinematografico vuole riprendere a lavorare al meglio e il suo tempo stringe: toc, toc, c’è nessuno?