Maria Cristina Gionta, “spudoratamente” attrice
È autentica e frizzante la commedia “Quasi amiche” che giovedì 6 ottobre apre la stagione del Teatro Manzoni di Roma. In scena con Paola Gassman e Mirella Mazzeranghi, ci saranno Gabriele Granito e l’esplosiva e spumeggiante Maria Cristina Gionta, che vestirà i panni di una vicina di casa alquanto sopra le righe.
Maria Cristina sei sia attrice che regista: come preferisci essere definita?
“Attrice sicuramente, perché è la mia natura. Ho deciso a sei anni di essere attrice, da sempre è la mia passione principale. Salire sul palco mi ha aiutato molto anche nel mio carattere, perché, essendo una persona molto riservata, molto chiusa – cosa che ora non si direbbe conoscendomi! –, recitare mi ha aiutato ad esprimere ciò che realmente sentivo e ciò che ero, senza pensare al giudizio della società. Sembra assurdo, ma è stato ed è così. Il palcoscenico mi dà la possibilità di esprimermi davvero, di essere libera di poter sentire emozioni e comunicare senza filtri”.
Ti sei formata, tra gli altri, con Enzo Garinei (scomparso a 96 anni il 25 agosto scorso): qual è stata la sua più grande lezione?
“Lui mi ha insegnato il tempo comico. Penso che questa sia stata la sua più grande lezione. Era una persona simpaticissima e molto generosa. Io ho lavorato anche con Andrea (il figlio scomparso prematuramente a 50 anni, ndr), che ho conosciuto molto bene e che mi ha insegnato molto anche lui. Credo proprio che il tempo della battuta comica, del respiro e di far entrare in quel preciso momento la comicità, la risata me lo abbia insegnato Enzo Garinei”.
Il tempo comico è tra le cose più importanti quando si sta su un palcoscenico…
“Sì, soprattutto quando fai commedia poi che, a mio parere, è molto più complessa di un dramma. Far ridere in maniera naturalistica con il tempo giusto è la cosa più complicata, secondo me, ed è molto più difficile di una tragedia”.
Avendo deciso da piccola di essere attrice, quali sono stati all’inizio i tuoi modelli di riferimento?
“I grandi attori e le grandi attrici mi hanno sempre affascinato. I miei modelli sono stati alcuni attori americani, quindi: Al Pacino, un grande; Meryl Streep, una maestra; Nicole Kidman che, con la sua interpretazione in ‘The Hours’, è stata importante e lo è ancora per me. Tra gli italiani sicuramente Mariangela Melato: l’insegnante di italiano delle Superiori ci fece vedere la ‘Medea’ con lei protagonista e mi ricordo che, in quel preciso momento, ho pensato: ‘voglio essere così, voglio fare questo’. Mariangela Melato è stata ed è il mio punto di riferimento attoriale”.
Quanto la tua Roma influenza la tua arte?
“Io sono nata a Roma, ma ho vissuto fino all’età di ventidue anni a Formia, in provincia di Latina. Però ho sempre pensato che Roma fosse la città in cui dovevo stare e dovevo vivere, perché mi piaceva molto. Mi piacciono le città grandi, non sono fatta per la provincia: il paesino mi è sempre stato molto stretto. Roma è stata fondamentale per la mia carriera, per la mia formazione e per la mia arte. Anche perché mi ha dato la possibilità, mi dà la possibilità e mi continuerà a dare la possibilità di vedere tante cose, di respirare in ogni angolo la bellezza, cosa che io ricerco continuamente, la bellezza che può essere andando in macchina la sera e fermarsi un attimo a guardare i Fori imperiali. Poi, qui posso guardare e vedere degli spettacoli meravigliosi, anche spettacoli molto brutti purtroppo, perché il teatro è pieno di roba brutta, anzi la maggior parte ormai. Però poter ammirare il cartellone di Roma Europa Festival e vedere degli spettacoli meravigliosi, come è accaduto l’anno scorso, è una possibilità bellissima che, stando in un altro posto, proprio non ce l’avrei. Roma mi offre una grande crescita intima e professionale e, soprattutto, questo guardare e rubare e fare proprie determinate esperienze che ti offre Roma”.
Secondo il critico d’arte Ernst Gombrich, non esiste un’opera d’arte brutta, ma linguaggi diversi; quindi, anche un’opera apparentemente brutta, se la si guarda sotto un altro punto di vista, si rivela nella sua compiutezza regalando qualcosa, anche se può continuare a non piacere. Tu hai parlato di spettacoli brutti e belli, quindi ti chiedo se per te la riflessione di Gombrich sia valida anche per il teatro.
“Secondo me, no. Ci sono spettacoli che oggettivamente non sono belli. Ad esempio, il testo non funziona, anche se magari è bellissimo ma viene sviluppato male. Secondo me, a teatro non esiste un altro punto di vista. Magari posso dire: lo spettacolo non va, però c’è quell’attore che mi ha convinto di più; oppure lo spettacolo è stato recitato malissimo, ma la regia comunque era efficace. Però, secondo me, ci sono proprio degli spettacoli che non sono belli. Quindi, sulle opere d’arte posso essere d’accordo, però per lo spettacolo teatrale, no”.
Dal 6 ottobre sei in scena al Teatro Manzoni di Roma con “Quasi amiche”, cosa puoi anticipare di questa tua nuova avventura teatrale?
“Prima di tutto, è molto bello stare con Paola Gassman. Lavorerò, infatti, con lei, Mirella Mazzeranghi e Gabriele Granito, che interpreterà il ruolo del nipote di Paola. Stare sul palcoscenico con delle artiste così è sempre molto importante perché impari tanto, senti tanto ed è sempre una fortuna. Il mio ruolo è quello della vicina di casa, un piccolo ruolo ma è molto simpatico. Loro, Paola e Mirella, sono due amiche che vivono insieme, si fanno compagnia in questo palazzo un po’ antico e c’è questa vicina di casa, io, che irrompe nella loro vita continuamente. Io sono Ines, un personaggio divertente, sui generis, una donna sola, più giovane di loro, che cerca continuamente il suo gatto, Nerone, che scappa da lei – per questo ho pensato che ci sarà un motivo che me lo sono creato da me (ride, ndr) -. Quindi, Ines è sempre alla ricerca di questo gatto, ma forse è una metafora: forse va alla ricerca di sé stessa. Ines è una donna che si chiude dentro casa, ha paura di tutto, ha paura di quello che c’è fuori, ascolta e segue tutti i programmi televisivi, tutte le televendite, acquista delle cose pazzesche viste in tv. Fa parte di quelle persone che hanno deciso di rinchiudersi in una bolla, perché hanno paura del mondo, in realtà; quindi, si creano il loro mondo e il loro mondo è casa loro. In questo senso, Ines ha creato il suo universo dentro casa. Lavorando al personaggio, ho pensato che questa è una condizione abbastanza comune adesso, perché dopo questi due anni strani che abbiamo vissuto, che ci hanno forzatamente allontanato dal mondo, tante persone si sono create la propria bolla. Lo vedo, osservando anche persone vicino a me, adesso hanno più paura del mondo. Poi ci sono anche persone che non vedevano l’ora di uscire; però tante sono le persone che hanno sviluppato questo terrore e questa paura, quindi, per questo motivo ho trovato molto attuale questo personaggio, Ines, in questo momento, anche se è sempre esistito. Ines è un po’ paurosa di tutto, ma va dalle vicine a cui chiede sempre qualcosa e questo, forse, è il momento in cui la solitudine la schiaccia. Quindi va dalle vicine e cerca cose assurde, cosa che fa nascere la risata. Le sue sono scuse assurde, cerca il gatto, entra, si graffia ad una mano, cerca l’alcol perché non ce l’ha… Da questo punto di vista è un personaggio interessante su cui lavorarci con profondità”.
Immagino già stesse provando il primo settembre, giorno dei cento anni dalla nascita di Vittorio Gassman; la figlia Paola si è lasciata a qualche ricordo o vi ha raccontato qualche aneddoto in questa occasione?
“Paola Gassman ci racconta degli aneddoti, però è molto riservata e non ama parlare di sé. A teatro è di una puntualità pazzesca, ha già tutta la memoria, ha già studiato, è tutta precisa e prova. Le ore di prova, per lei, sono le ore di prova. Poi ci racconta, sì, dei suoi nipoti, perché lei è bisnonna e ci ha raccontato delle sue vacanze, dove è stata, ma è una grande lavoratrice e non indugia sul suo privato”.
Dopo l’inaugurazione al Teatro Manzoni di Roma, andrete in tournée con “Quasi amiche”?
“Per adesso non è prevista una tournée, noi staremo al Teatro Manzoni per tutto il mese di ottobre”.
A quali altri lavori ti si stai dedicando?
“Io sono reduce di un’esperienza meravigliosa al Festival delle Ville Vesuviane, dove ho fatto uno spettacolo a cui tengo particolarmente che debutterà nuovamente il 27 ottobre al Teatro Manzoni. Sarà un evento. Lo spettacolo in questione è ‘Bellezza Orsini. La costruzione di una strega’. L’abbiamo fatto l’8 settembre a Villa Campolieto (di Ercolano, ndr). Lo spettacolo è meraviglioso, è in collaborazione con l’Archivio di Stato di Roma, per la produzione di Centro Teatrale Artigiano – CTA e tratta del processo fatto realmente a questa donna, Bellezza Orsini, nel 1528 per stregoneria. Venne torturata con il tratto di corda, che era questa pena tremenda che ti legavano i polsi dietro la schiena issando il corpo da dietro, tirandolo su con una carrucola, provocando lo slogamento dei polsi e delle spalle. Il tratto di corda era molto in voga allora, soprattutto per la Chiesa perché così evitava lo spargimento di sangue. Bellezza Orsini venne torturata così. Alla fine, disse la loro verità, confessando ciò che non era, ma ciò che loro volevano sentire, quindi, raccontò che era una strega. La cosa meravigliosa, però, è che lei era una donna che sapeva leggere e scrivere; quindi, scrisse di suo pugno un quaderno in quei giorni e questo quaderno è tuttora conservato nell’Archivio di Stato. Io l’ho visto, perché abbiamo debuttato lì, nella Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato l’anno scorso, e nel quaderno puoi vedere la sua reale scrittura. Ma perché noi abbiamo questo quaderno? Perché lei decide di suicidarsi in carcere prima del rogo, perché altrimenti tutto sarebbe andato bruciato assieme alla strega. L’attuale direttore dell’Archivio di Stato, Michele Di Sivo, che ha scritto questo testo da cui poi Silvio Giordani ha creato lo spettacolo, ci ha fatto vedere questo quaderno che è esposto all’Archivio di Stato. Nel quaderno Bellezza Orsini racconta tutto il processo e c’è tutto il fascicolo del processo reale. È stata questa un’esperienza meravigliosa. Il 27 ottobre lo replicheremo al Teatro Manzoni alle 21, sarà un giovedì e sarà un evento. Interpretare un personaggio così potente è stato fantastico, da non dormirci e da averlo ancora in me!”.
Come donne, che momento viviamo? Veniamo ancora viste come streghe in un certo senso?
“Noi forse siamo molto streghe nel senso di avere forza, intelligenza e, soprattutto, sesto senso. Carpiamo immediatamente qualcosa, una dote che la donna ha e l’uomo no. L’uomo mi piace molto per la sua immediatezza e semplicità. Noi donne non siamo semplici, siamo arzigogolate, invece l’uomo non ha il sesto senso. Il nostro sesto senso un po’ ci regala la stregoneria”.
Sì, il problema è che fa paura forse…
“Certo, fa paura, infatti scatena tanta violenza nei confronti della donna che poi c’è sempre stata, ma di cui forse adesso se ne parla di più?”.
Oltre a questo appuntamento del 27 ottobre a cui tieni tanto, hai un desiderio nel cassetto su cinema, tv o teatro?
“Sì, mi piacerebbe lavorare in un bel film, non mi succede da tanto. Mi piacerebbe fare un lavoro d’autore, nuovo. Mi piacerebbe lavorare con Paolo Sorrentino, perché è uno dei registi che mi piace di più in questo momento, assieme a Emanuele Crialese (ma lui fa molti meno film in generale). In teatro sto lavorando bene. Sono fortunata perché riesco a fare cose disparate e progetti così importanti su personaggi anche poco conosciuti come Bellezza Orsini. Quindi, andare a riportare sulla scena delle figure così particolari, belle e nascoste, è una cosa che mi piacerebbe continuare a fare sul palcoscenico. Poi, sì, mi piacerebbe fare un film, qualcosa di particolare, bello, ma è molto difficile. Mi dicono sempre che ho il viso troppo teatrale ed io chiedo: ‘ma che vuol dire?’ La risposta è: ‘sei molto espressiva!’ ‘E menomale!’, io ribatto. Forse invece che a Roma dovevo trasferirmi in America, ma ai tempi che furono, adesso sarebbe del tutto inutile. Al cinema oggi ci sono tante cose brutte, per me, ma anche a teatro, ed è un problema forse di recitazione che non funziona, soprattutto tra i giovani che dicono di ‘buttare tutto per essere più naturalisti, più veri’, una cosa che a me fa tanto ridere. Infatti, nel momento in cui si è sopra un palcoscenico, o davanti una macchina da presa naturalmente, che vuol dire avere la verità? Che devi sussurrare? La realtà è che noi dobbiamo essere credibili, non essere veri, perché la realtà è un’altra cosa. Tu nel momento in cui sali sul palcoscenico, non puoi essere come sei nella realtà, ma devi cercare la credibilità, che è una cosa complessa che per raggiungere ti devi massacrare l’emotività, andando a pescare la tua credibilità che non vuol dire sussurrare o buttare la battuta che non capisci neanche tu cosa stai a dire. Questa è una cosa purtroppo che oggi dilaga a teatro, al cinema e, soprattutto, in televisione, con un’intera generazione che non sa neanche parlare. Davanti a tutto questo, ci credo che io sia tanto espressiva! Per la differenza tra credibilità e verità c’è tanta confusione, perché non ci sono più maestri e non ci sono più scuole. Oggi la recitazione che c’era quarant’anni fa è improponibile, vero, però adesso è troppo tutto buttato così. Io i giovani spesso non li riesco neanche a capire quando parlano. No, dico, ma non ci sento io? Non riesco a capirli, ho difficoltà a comprenderli, anche al cinema. Io ho studiato con Eugenio Barba, ho iniziato sui trampoli, ho fatto teatro di strada, ho studiato con Garinei, ho fatto tanto e poi sono approdata anche al teatro americano, alla tecnica Chubbuck, in particolare, appena è giunta qui a Roma, per capire cosa gli americani avessero che gli italiani non hanno, e l’ho capito: studiano e studiano tanto. Gli americani studiano la singola battuta, la singola battuta in cui tu devi andare a pescare la tua credibilità, la tua verità, che è piena del tuo mondo”.
Gli attori americani in pausa dai film fanno tanto teatro, soprattutto a Broadway, per essere sempre in fase di studio e allenamento…
“Certo, è un allenamento continuo per l’attore. Anche quando sei in pausa o vai sull’autobus persegui nell’osservazione della gente, nel sentire e guardare come si muovono le persone: è un continuo. Almeno questo è quello che capita a me, a me come attrice, perché sono una persona molto curiosa, mi piace guardare le persone, mi piace molto la gente, sono curiosa delle persone; quindi, faccio delle domande per conoscere il mondo delle persone per poi sentire e capire da quel mondo cosa può venire a me come attrice. La mia è una continua ricerca, anche perché, nel momento in cui ci si ferma, è finita, hai chiuso, non c’è più niente. Nel momento che tu pensi ‘sono arrivato, questo lo sa fare’, lì è finita, e questo può avvenire presto, prestissimo. Difatti c’è gente che rimane nella propria mediocrità per tutta la carriera”.
Il tuo messaggio ai giovani attori e alle giovani attrici?
“Forse l’unica cosa che mi sento di dire – perché per me l’arte è il cibo della vita, non c’è pane, non c’è acqua, c’è solo arte per me – è quella di essere sempre spudorati. Devi, infatti, essere spudorato per fare arte, essere nudo sempre. Bisogna ricercare la propria spudoratezza senza avere paura di niente. Per fare l’attrice, bisogna stare sul palcoscenico non avendo paura di niente, e, quando si arriva alla spudoratezza, forse si arriva alla profondità, perché levi tutti gli strati, anche quelli più profondi, e rimani tu. Tu sei nudo là sopra, per un minuto, quindici minuti o mezz’ora, ma devi ricercare proprio quella nudità. Secondo me, questa è una proprietà di tutti gli artisti, non solo degli attori, ma anche di un pittore o di uno scultore. Bisogna essere spudorati nella propria opera d’arte, non avere paura di dire e fare ciò che veramente in fondo si ha e si è. Questo credo sia spudoratezza”.