Ostia Antica, il fascino della continua scoperta

Ci sono sempre tanti modi per guardare alle cose. È bello scoprire che un posto che affascina si possa rivelare nuovo ogni volta. È il caso di Ostia Antica, depredata e spogliata di pezzi che sono andati a formare tante altre città, come Pisa ed Amalfi, ma sempre nuova grazie ad ulteriori scoperte ed a nuovi angoli nascosti ad uno sguardo che spesso non sa dove posarsi tante sono le bellezze che accoglie. Può capitare che solo ad una seconda volta ci si imbatti nel cenotafio di Cartlio Poplicola, duoviro per ben otto volte, interrogandosi sul suo cognome, cioè quel “Poplicola”, “amico del popolo”, rivelatore del rispetto che gli abitanti di Ostia avevano per l’uomo che li aveva salvati da un attacco proveniente dal mare. Su via della Foce che porta al fiume Tevere, solo in un secondo tempo ci si può soffermare sulla triplice valenza che Ercole, a cui è dedicato il tempio che costeggia la strada, ha per gli ostiensi: l’eroe invitto per eccellenza, qui è il protettore dei commercianti e anche dispensatore di divinazione, come si esplica nel rilievo votivo dell’aruspice C. Fulvius Salvis (80-65 a.C.). Si può rimirare con nuovi occhi la domus di Amore e Psiche del secondo quarto del IV secolo, riflettendo su come da lì a poco, cioè nel 476 d.C., sarebbe caduto l’Impero romano d’Occidente e quindi come tanta ricchezza sarebbe stata da lì a poco investita dall’oblio. All’inizio dell’Ottocento Ostia Antica era una distesa di verde da dove spuntavano qua e là delle punte marmoree o di laterizi appartenenti alla sommità di edifici sommersi nel terreno. È stato con papa Pio VII (1742-1823) che si cominciò una campagna di scavi che ebbe la sua sistematicità solo all’inizio del Novecento e soprattutto con Mussolini dal 1938, perché il duce voleva presentare l’area archeologica nel corso dell’Esposizione universale del 1942 (quella per cui nacque l’Eur e che Roma non ospitò mai), un’operazione che portò alla luce tantissimo, ma che al tempo stesso compromise altrettanto, perché i reperti furono collocati in modo da sedurre e incantare il visitatore, quindi non seguendo il rigore storico del ritrovamento. L’esempio più lampante? Il basalto del decumano, apparentemente perfetto, ma ricostruito così bene da far perdere le tracce dei solchi lasciati dalle ruote dei carri.

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