Borromini, l’architettura sensibile che sfida l’infinito
È leggenda raccontata ai turisti che Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) avrebbe scolpito la fontana dei quattro fiumi in Piazza Navona a Roma in modo che la statua che rappresenta il Rio della Plata sembrasse terrorizzata dalla chiesa di Sant’Agnese in Agone, opera di Francesco Borromini (1599-1667). La statua realizzata dal Bernini, infatti, porge le mani in avanti come se avesse paura che la chiesa potesse crollare da un momento all’altro. Per lo stesso motivo, la statua del Nilo avrebbe la testa velata, proprio per non vedere la raccapricciante facciata. In realtà, questa storia tramandata a Roma è un fake: la chiesa fu iniziata nel 1652 e finita nel 1657, mentre la fontana era stata progettata già nel 1649 e inaugurata due anni dopo. Ma tale leggenda racchiude l’essenza della rivalità tra i due geni che segnano l’arte barocca e il profilo attuale di Roma. A ripercorrere le loro vicende è il documentario “Borromini e Bernini. Sfida alla perfezione”, stilisticamente e contenutisticamente irreprensibile, diretto da Giovanni Troilo, su soggetto di Luca Lancise, con colonna sonora originale di Remo Anzovino, prodotto da Sky e Quoiat Films, e distribuito da Nexo Digital all’interno della stagione della Grande Arte al Cinema solo il 15, 16 e 17 maggio. L’appuntamento è di quelli da non perdere per la possibilità di ammirare sul grande schermo le meravigliose inquadrature che evidenziano i dettagli di opere straordinarie che spesso sfuggono. L’accento del documentario è posto su Borromini, quel Francesco Castelli non ancora ventenne che arriva a Roma a piedi da Milano, lasciando i genitori e il suo lavoro di umile scalpellino al Duomo per inseguire il sogno di lavorare nel cantiere più prestigioso del suo tempo, la Fabbrica di San Pietro. È il 1619 quando Francesco va ad abitare nella casa dove lo ospita lo zio, Leone Garuo, che lavora come tagliapietre nella Basilica vaticana. Da lì a poco lo zio muore e Borromini, restato solo, viene notato dall’Architetto capo di San Pietro, Carlo Maderno, che lo prende come suo assistente, impressionato com’è dalla sua precisione nel taglio delle pietre e dal suo talento nel disegno. Maderno diventa un secondo padre per Francesco ed è l’uomo grazie al quale capisce che la sua vocazione è l’architettura. Ma a Roma non basta essere geni per emergere: la sorte di un artista, architetti compresi, dipende dal papa di turno. E in questo Bernini ebbe più fortuna. La rivalità tra i due talenti del Seicento comincia lavorando insieme, sotto la guida di Maderno, nel progetto di Palazzo Barberini. Alla morte di Maderno, Urbano VIII nomina Bernini, a soli 31 anni, Architetto di San Pietro, affidandogli l’incarico del Baldacchino di San Pietro. Francesco diventa ufficialmente il sottoposto di Bernini, che è privo delle competenze nelle tecniche architettoniche e spesso chiede aiuto a Francesco, che, guardando all’antico e alla natura, risolve il problema della copertura del Baldacchino proponendo un disegno originale ispirato alle forme sinuose dei delfini. Ma questo allora nessuno lo sa, tutti ammirano solo Bernini, che tiene per sé non solo il merito, ma anche i soldi: la sua paga è, infatti, dieci volte quella di Francesco. Stanco di lavorare per la gloria altrui, Francesco si licenzia dalle dipendenze di Bernini per mettersi in proprio, contrassegnando questo momento di svolta nel cambio del cognome, da Castelli in Borromini. Il documentario descrive così il gioiellino che è il convento dei Trinitari Scalzi di San Carlo alle Quattro Fontane; l’Oratorio di San Filippo Neri che, nell’uso innovativo delle linee curve, è un edificio con le braccia aperte, in anticipo di quasi trent’anni sulle “braccia aperte” del Colonnato di San Pietro, progettato da Bernini; la delicata ristrutturazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, in occasione del Giubileo del 1650, affidatagli da papa Innocenzo X; e la Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza con la bellissima cupola che svetta verso l’infinito. Per la comprensione di questi capolavori il lavoro di Troilo è prezioso, perché è attento sia nel raccontare il sentire umano di Borromini, anche attraverso gli attori che mettono in scena le sue vicende – Jacopo Olmo Antinori, Pierangelo Menci e Antonio Lanni –, sia nel tratteggiare le sue infinite sfumature d’arte, grazie agli esperti consultati – Jeffrey Blanchard, Giuseppe Bonaccorso, Daria Borghese, Aindrea Emelife, Waldemar Januszczak, Paolo Portoghesi -. Per i contemporanei, come è ricordato all’inizio del documentario, i lavori di Borromini erano considerati “opere del diavolo” o “creative assurdità” appellandole “chimere” e, poi, per trecento anni il grande artista nessuno lo ha capito. Oggi “Borromini e Bernini. Sfida alla perfezione” aggiunge nuovo riscatto ad una personalità artistica che ha donato tanta bellezza ai posteri.