L’urgenza della “grande” lezione di Enrico Berlinguer, attraverso lo sguardo di Segre e Germano
“Berlinguer era piccolo, gracile, silenzioso e riflessivo, studiava molto, scriveva tantissimo, parlava con grande calma e precisione, guardava negli occhi, ascoltava. Raramente usava o urlava slogan, anche quando si trovava di fronte a centinaia di migliaia di persone, come è spesso capitato. Queste sue caratteristiche, così diverse da altri leader del Novecento, lo fecero amare da tantissimi italiani, dai comunisti, ma anche da chi comunista non lo è mai stato”, così scrive Andrea Segre che sta regalando la bellezza di vedere al cinema la ricostruzione “da dentro” della vita, del mondo e del popolo di Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito comunista dal 1972 fino alla morte, avvenuta nel 1984. Il film “Berlinguer. La grande ambizione”, dopo l’apertura della 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma e l’assegnazione del “Premio Vittorio Gassman” come miglior attore ad un magistrale Elio Germano per la sua interpretazione, è nelle sale già dal 31 ottobre distribuito da Lucky Red con successo di critica e di pubblico. Nel cast al fianco di Elio Germano – definito da Segre “essenziale” per vestire i panni di Berlinguer perché spinto dal desiderio di “capire” più che di “rappresentare” – ci sono, tra gli altri, Elena Radonicich (interpreta la moglie di Berlinguer, Letizia Laurenti), Paolo Pierobon (Giulio Andreotti), Roberto Citran (Aldo Moro), Andrea Pennacchi (Luciano Barca), Giorgio Tirabassi (Alberto Menichelli), Paolo Calabresi (Ugo Pecchioli), Francesco Acquaroli (Pietro Ingrao), Fabrizia Sacchi (Nilde Iotti). Qual era “La grande ambizione” del titolo? “Realizzare il socialismo nella democrazia”. Diceva Berlinguer: “L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista”. Il racconto del film, pur entrando nel vivo della vita di Berlinguer, non copre l’intero arco della sua parabola terrena (nato a Sassari il 25 maggio del 1922, è morto a Padova l’11 giugno 1984), ma racconta gli anni cruciali dal 1973, quando sfuggì a Sofia a un attentato dei servizi bulgari, fino all’assassinio nel 1978 del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, focalizzandosi sul compromesso storico: “La gravità dei problemi del Paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande ‘compromesso storico’ tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”. Sono parole di Berlinguer che appaiono oggi al tempo stesso vicine, perché se ne sente la necessità, e lontane, perché oggi più che mai le forze politiche sono lacerate da divisioni non solo esterne, ma anche interne. Il film – una produzione Vivo film e Jolefilm con Rai Cinema, in coproduzione con Tarantula (Belgio) e Agitprop (Bulgaria) con le musiche originali di Iosonouncane – ha il merito di “di entrare nel pensiero di Berlinguer, nella sua relazione diretta con quanto ha voluto e ha fatto, con le sue ambizioni, le sue tensioni e le sue paure, negli anni forse più complessi e decisivi della sua esperienza politica”, come era nelle intenzioni espresse del regista. Scrive ancora Segre: “Il mondo è profondamente cambiato, ma le urgenze e le emozioni che hanno attraversato la sua vita e il suo popolo non sono scomparse, albergano in strade diverse, si cercano, si interrogano, attraversano le contraddizioni dell’oggi, si infilano nei vuoti e nei pieni della società contemporanea. Esiste un’universalità nell’azione e nel pensiero di quest’uomo, che è mirabolante poter esplorare e ascoltare al di là dell’ormai anacronistica adesione ad un partito”.