La Susanna di Artemisia Gentileschi è monito contro la violenza perpetrata sulle donne
Un marito geloso che picchia la moglie e le persone sull’uscio della porta che restano a guardare senza fare nulla: sembra un articolo di cronaca di oggi, ma è l’immagine di una miniatura del 1353 dal manoscritto del “Roman de la Rose” di Guillaume de Lorris e Jean de Meun. Lunedì 25 novembre ricorre la giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall’Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana. In questa occasione La7 alle 23.30 manda in onda “Proserpina e le altre”, documentario prodotto da GA&A Productions con il patrocinio di Fondazione Marisa Bellisario, scritto da Mariangela Barbanente con la collaborazione di Consuelo Lollobrigida e diretto dalla stessa Barbanente e Francesco Masi. Con sensibilità e sapienza, si presenta la ricostruzione nei secoli, dai miti greci ad oggi, di come veniva considerata e, di conseguenza, trattata la donna nel mondo occidentale attraverso la disamina di alcune importanti opere d’arte. Il racconto su sarcofagi, tele o sculture di Proserpina rapita da Plutone, quello delle Sabine rapite dai Romani, di Sesto Tarquinio che violentò Lucrezia e di Susanna che fu molestata da guardoni narrano di una donna oggetto, che, da vittima, rischia anche di pagare per la violenza compiuta da altri, perché accusata ingiustamente di complicità. Lo sguardo di pittori e scultori rispecchia la sensibilità individuale ma, più spesso, quello della committenza e del contesto storico in cui vivono. Nel Cinquecento, ad esempio, spesso la proposizione di questi temi si fa erotica e, talvolta, pornografica. A spiegare il diverso accento dato da Pietro da Cortona, Rembrandt, Tintoretto o Tiziano, intervengono voci autorevoli di storici dell’arte, che fanno comprendere tutte le sfumature e i dettagli di un discorso articolato e dalle mille sfaccettature. Quando la donna artista, però, prende la parola tutto ha un’accentuazione diversa: la Susanna (1610) di Artemisia Gentileschi è infastidita e respinge i guardoni che le chiedono pure di stare zitta e non ribellarsi; anche in questo caso la donna è rappresentata nuda, ma la sua nudità non ha nulla di erotico, è una giovane sorpresa a fare il bagno. Artemisia, violentata da Agostino Tassi, conosceva a fondo quel dolore che ancora oggi chiede giustizia attraverso la protesta di attivisti indignati dalla mostra a Genova a lei dedicata quest’anno e che esponeva le sue tele accanto a quelle del suo carnefice. In “Proserpina e le altre” non mancano, inoltre, opere dell’Ottocento, come “Lo stupro” di Degas, o del Novecento, come “Qualche piccolo colpo di pugnale” (1935) di Frida Kahlo e le fotografie che testimoniano le forti performance di Ana Mendieta “Untitled (Rape Performance” (1973) e di Marina Abramović “Rhythm 0” (1974). Questo documentario, esauriente ma aperto all’arricchimento di altre opere d’arte, non si iscrive nel fenomeno della “cancel culture” (letteralmente “cultura della cancellazione”) rispetto ai capolavori presi in esame o ai miti fondativi (come quello dell’istituzione del matrimonio), ma offre un punto di vista che fa riflettere con argomentazioni circostanziate sulla violenza commessa sulle donne ed arriva all’orecchio, alla mente e al cuore in maniera potente per provocare una reazione propositiva per combattere la violenza sulle donne e destare chi spesso resta indifferente facendo spallucce.