“The Broken Key”: vedere e rivedere il film visionario di Louis Nero per andare alla radice della natura umana
Approda nei cataloghi Amazon Prime Video, Itunes e GooglePlay “The Broken Key” (“La chiave spezzata”), il thriller di Louis Nero (una coproduzione internazionale tra l’italiana L’Altrofilm e l’inglese Red Rocks Entertainment, con la collaborazione di Film Commission Torino Piemonte), ambientato in una visionaria Torino dove sono conservati i resti di un manoscritto egizio sulle cui tracce si mette il ricercatore inglese Arthur Jonas Adams. Il film è un viaggio molto erudito, dai riferimenti esoterici spiccati, che giunge alla massima del tempio di Apollo a Delfi del “Conosci te stesso”: dietro allo sceneggiatore e al regista si avverte l’urgenza dell’uomo alla ricerca della verità assoluta.
Louis Nero, “The Broken Key” può essere considerato un film d’iniziazione?
“Il cinema in generale è iniziazione, non credo che possa esistere un film che non possa essere considerato come un viaggio catartico per lo spettatore. Io credo che il cinema abbia una funzione molto elevata che è quella di cambiare lo spettatore, non quella solo di raccontare storie oppure di intrattenere il pubblico. La sua funzione, come era quella del teatro antico, è proprio quella di far vivere allo spettatore tutte le emozioni dei protagonisti e sperare che alla fine del viaggio lo spettatore cambi insieme al protagonista”.
Cosa pensi della trascendenza?
“Specificamente il termine trascendenza ha così tante interpretazioni… Tu cosa intendi?”
Qualcosa che va al di là di ciò che è terreno.
“Io credo che nel nostro percorso di vita, che è poi quello artistico – non c’è distinzione per me tra percorso di vita e quello artistico -, il nostro lavoro è quello di riscoperta, cioè noi non dobbiamo trovare niente di nuovo. È un po’ come Platone, è la reminiscenza: il ricordarsi che noi già siamo divinità, è soltanto che ce lo siamo dimenticati. Quindi il nostro percorso è un po’ questo qua, quello di spogliarci di tutti i nostri difetti, di tutti i nostri ‘vizi’ per poter capire che noi già siamo dio, non c’è distinzione tra noi e dio. Questo qua non è un discorso di presunzione, è un discorso di scoperta piano piano perché alla fine dio è già dentro di noi, non è una cosa fuori che devi conquistare. Senza nessuna valenza religiosa io parlo di dio. Quando parlo di dio, parlo della nostra capacità di essere in contatto con il mondo che ci circonda”.
La divinità non soltanto negli esseri umani, ma in tutto ciò che c’è nell’universo?
“In un mio film, ‘Il mistero di Dante’, parlavo di ‘Signa Dei’ (i ‘Segni delle divinità’), praticamente qualsiasi cosa è intorno a noi è dio: cose, oggetti, animali, tutto quanto. Questo è importante. Nel finale di ‘Highlander’ si parla della ‘reviviscenza’, la possibilità di diventare tutt’uno con tutto”.
Il tuo protagonista è un novello Dante accompagnato dai suoi Virgilio e Beatrice?
“Assolutamente. Il film è stato proprio strutturato sia rispetto al viaggio di Dante che al romanzo di Milton (‘Paradiso Perduto’, ndr). A me piace molto lavorare sui nomi, il protagonista si chiama Arthur Jonas Adams, tre nomi molto importanti: Arthur per quanto riguarda la storia di Re Artù, quindi il novello iniziato; Jonas che visse nella balena; e Adams come Adamo, il primo uomo che visse sulla terra. La protagonista femminile si chiama Sarah Eve, quindi Eva. E anche i personaggi che lo aiutano. C’è Taron Iron che è un po’ quello che li tradisce, quello che in realtà è l’attaccamento alla materia. E poi c’è l’altro personaggio, James Mind, che è un po’ la ragione: nell’Inferno e Purgatorio Virgilio rappresenta la ragione. Poi c’è Eva- Beatrice”.
Per la trama quanto è stata determinante Torino, la tua città natale?
“Torino ha questo grosso percorso storico legato al mondo esoterico, al mondo della spiritualità e anche alla geografia sacra, come tantissime altre città. È stata costruita ricalcando le stelle: ricostruendo sulla terra ciò che era nel cielo. Ed è questo il collegamento nel film. Nella piana di Giza, le piramidi e il Nilo, tutto quanto, erano semplicemente un riflesso del cielo sulla terra. Stessa cosa è il Piemonte. Noi abbiamo trasportato questa idea del viaggio iniziatico che faceva il faraone nella piana di Giza per poi trovarsi durante il solstizio d’estate di fronte alla Sfinge ed essere baciato dal sole e quindi essere incoronato. Abbiamo fatto più o meno lo stesso percorso riportato qua a Torino che ha la sua geografia sacra”.
Per rendere accattivante lo scorrere del film quanto hai guardato a pellicole tipo “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta”?
“Tra i film capostipiti sulla scia del ‘viaggio dell’eroe’ che ha influenzato molti dei miei film: il viaggio che fa il protagonista attraverso una serie di ostacoli per poi tornare alla fine del viaggio allo stesso punto da cui è partito ma completamente cambiato. Esemplare è in questo ‘Pinocchio’. Sicuramente Indiana Jones di Spielberg ha una sceneggiatura basata su questa idea. Nel caso di Indiana Jones, lui è già un uomo sulla strada verso la conoscenza, e i suoi ostacoli e le sue peripezie sono proprio il frutto del viaggio dell’eroe”.
Le location del film – Grotte di Bossea, Saliceto, la Sacra di San Michele, oltre a luoghi simbolo di Torino come la Gran Madre – quanto erano già presenti nella stesura della sceneggiatura?
“Assolutamente studiati per il fatto che il film è diviso in sette grossi tronconi che sono i Sette Peccati Capitali, le Sette virtù e le Sette arti liberali, cose che vanno tutte in parallelo. Quindi nella scelta della scrittura avevo già individuato i sette luoghi che potevano rappresentare queste tre sfaccettature della stessa cosa, e quindi erano già immaginati e scelti in scrittura. Inoltre, questi luoghi hanno già una storia legata al peccato rappresentato di loro natura, quindi è stato molto interessante fare questa ricerca durata quasi due anni che mi ha arricchito molto anche dal punto di vista personale”.
La città sommersa che vediamo nella scena col papà di Arthur a cosa si riferisce?
“Il padre è andato a cercare nell’antico Egitto dei relitti per ritrovare la chiave di Ankh (antico e sacro simbolo egizio che essenzialmente simboleggia la vita, usato per donare immortalità ai faraoni, ndr) ed ha trovato Atlantide (l’isola leggendaria, il cui mito è menzionato per la prima volta da Platone nei dialoghi Timeo e Crizia nel IV secolo a.C., ndr). Interessante il nome del padre, Hiram Abif (interpretato da Franco Nero, ndr), che è l’architetto che ha costruito il Tempio di Salomone: si dice che la conoscenza è passata a Salomone… Tutti i nomi dei personaggi hanno un significato rispetto alla trama”.
Sei appunto sempre molto preciso in tutte le citazioni, hai fatto un calcolo che il solstizio del 2033 cada proprio il 21 giugno?
“La cosa interessante del solstizio non è quello fisico che cade tra il 19 e il 24 giugno, ma quello simbolico che dal punto di vista della mia storia è per forza il 21. I due solstizi sono legati ai due san Giovanni, il Battista per il Solstizio d’estate e l’Evangelista per quello d’inverno (se le celebrazioni dei due santi non coincidono esattamente – i due santi vengono festeggiati dalla chiesa cattolica rispettivamente il 24 giugno e il 27 dicembre – è solo perché si è in un periodo di tempo sacro che permette la dilatazione simbolica dell’evento, ndr)”.
Come hai scelto il tuo impeccabile cast, da Geraldine Chaplin a Christopher Lambert?
“Nei miei film mi accompagno sempre di pellegrini che viaggiano con me e si rivelano persone che mi fanno scoprire delle cose impressionanti. Ad esempio, Kabir Bedi tra una scena e l’altra, in mezzo alla folla assoluta, tutte le persone della troupe, si metteva a meditare. Christopher Lambert mi ha insegnato delle cose incredibili. Geraldine Chaplin è un altro personaggio fuori dal comune. Ho cercato e trovato persone che sono grandi attori e che hanno avuto esperienze di vita personali strabilianti. Ho scelto attori che erano legati ai temi che trattavo: la sceneggiatura risuonava degli argomenti che loro cercavano, le domande che sono nel film già se le erano poste”.
Cosa ti ha spinto a scegliere Andrea Cocco, un attore che nasce al Grande Fratello, per il tuo protagonista Arthur?
“Ho conosciuto Andrea a Venezia anni prima del film. Non sapevo avesse fatto Grande Fratello 11 perché non l’avevo seguito. Alla proiezione di un film che aveva fatto (‘Io è morto’, ndr) subito mi è diventato simpatico. Negli anni gli ho fatto vari provini e alla fine l’ho voluto, a discapito di altri grandi attori italiani, perché ben rappresentava il personaggio del futuro, quel suo essere metà asiatico (la madre è giapponese, ndr) e metà occidentale (papà italiano, ndr), in grado di ricordare un po’ Neo di ‘Matrix’. Poi il vantaggio di Andrea è che ha un inglese perfetto, perché ha vissuto tanti anni in America”.
Una presenza costante dei tuoi film è Diana Dell’Erba…
“Sono tantissimi anni che ci frequentiamo, abbiamo fatto tantissimi film assieme e lei aiuta tante volte anche nell’ideazione dei progetti, quindi fa parte della ‘casa’ in generale”.
Lei ha una somiglianza impressionante con un’altra attrice del film, Maria De Medeiros…
“Hanno fatto un film insieme (‘Registe – Dialogando su una lametta’, ndr), Diana come regista e Maria De Medeiros come attrice: Diana, infatti, l’aveva scelta proprio perché si somigliavano. Se tu vedi la mamma di Diana è Maria De Medeiros”.
“The Broken Key” è stato distribuito nel 2017 in oltre 60 paesi, l’uscita ora nel catalogo Amazon Prime Video sarà accompagnata da qualche iniziativa legata ai temi del film?
“No, ma da quando è uscito abbiamo sempre iniziative legate al film per i luoghi o gli argomenti trattati. Per noi è sempre un continuo. Ad esempio faccio ancora incontri su Dante (‘Il Mistero di Dante’, ndr). Il prossimo lavoro che stiamo preparando sarà sulla stessa riga”.
Puoi anticiparmi qualcosa?
“Sto finendo di scrivere. Sarà una biografia di un personaggio. È quasi un contemporaneo, morto da pochi anni”.