Il primo scoglio dopo il liceo? Il test di ammissione all’università! A raccontarlo con delicatezza “Il primo anno” di Thomas Lilti che mette sotto la lente d’ingrandimento il sistema d’istruzione attuale che è disumano e ipercompetitivo
Semplice, spontaneo e un sound alla Rocky per un film sulla società contemporanea ipercompetitiva: il 2 settembre con Movies Inspired arriva “Il primo anno” (durata 92 minuti) di Thomas Lilti, che ne è regista e sceneggiatore. Dopo “Ippocrate” (2014) e “Il medico di campagna” (2016), il cineasta francese (classe 1976) racconta nuovamente una storia legata al mondo della medicina, ma questo film “non tratta propriamente dell’esercitare il mestiere di medico – spiega -. Quello che mi interessa qui sono i giovani e il fatto che il sistema non faccia nulla per aiutarli e valorizzarli. Volevo raccontare la brutalità e il calvario di questi grandi test di ammissione che determinano una vita intera. Questo primo anno di medicina, completamente pazzo, dove si vive solo in funzione di quelle poche ore in un centro di esami, io l’ho vissuto. In questo caso la medicina non è un pretesto ma piuttosto un ‘contesto’, un modo per parlare di questa ‘iper-competizione’ in cui il nostro tempo ci obbliga a vivere e mi chiedo: questo sistema funziona davvero?”.
“Primo anno” narra dell’incontro di due giovani alla facoltà di medicina. Antoine (Vincent Lacoste, già protagonista di “Ippocrate”) ricomincia per la terza volta il primo anno di medicina. Benjamin (William Lebghil, nominato ai César come miglior attore promessa maschile) ha appena terminato il liceo, ma si rende subito conto che questo primo anno di università non sarà una passeggiata. In un ambiente ferocemente competitivo, con giornate di lezioni faticose e notti trascorse a studiare più che a divertirsi con gli amici, i due studenti dovranno lavorare sodo e trovare il giusto equilibrio tra le sfide di oggi e le aspettative del domani.
Antoine e Benjamin sono le due facce di un sistema di istruzione disumano. Benjamin, pur essendo un principiante, ben presto riesce a destreggiarsi in quel mondo di test e nozioni da mandare a memoria, comprendendo cose che Antoine in due anni non ha ancora afferrato. Non è che Benjamin sia più intelligente, è solo che ha capito come muoversi. “L’ironia – spiega Lilti – è che Benjamin non sa davvero perché stia sostenendo l’esame di ammissione a medicina, mentre Antoine è disposto a sacrificare tutto per questo”. Da qui la questione: chi sarà un medico migliore? Colui che sa memorizzare e lavorare fino all’esaurimento, assimilando automaticamente le nozioni? O colui, più laborioso, per il quale la medicina è come una passione?