“Credo che il teatro sia il luogo dove si può parlare di tutto con una libertà che gli altri mezzi in questo momento non hanno”, parola al regista e attore Francesco Branchetti
Ha tre spettacoli teatrali in corsa in questo frangente storico così delicato, è il regista e attore fiorentino Francesco Branchetti.
Come affronta questo suo impegno?
“Con enorme soddisfazione, per il fatto di avere tre spettacoli che sono o in procinto di debuttare o già in tournée, e con grande impegno, perché avere tre allestimenti in contemporanea è abbastanza faticoso“.
Di “Una stanza al Buio” con in scena Claudio Zarlocchi e Alessia Fabiani, il cui debutto è l’8 ottobre, qual è il leitmotiv?
“È un giallo, genere che a teatro abbiamo poche occasioni di vedere. È un testo molto bello di Giuseppe Manfridi che riesce ad unire la perfezione del meccanismo drammaturgico con la costruzione di due caratteri decisamente fuori dall’ordinario, due personaggi molto particolari e molto strani che sono l’asse portante di questa pièce geniale che ho già portato in scena nel 2004 con enorme successo e che mi fa piacere riproporre ora“.
“Un grande grido d’amore” la vede regista e protagonista affianco a Barbara De Rossi: come continua la tournée e qual è l’essenza di questa opera?
“Lo spettacolo ha debuttato la scorsa stagione ed è stato in tour fino al lockdown. Riprendiamo il 2 ottobre dal Teatro degli Audaci di Roma e proseguiremo recuperando anche le date rinviate. Il testo di Josiane Balansko, autrice francese di successo mondiale, racconta l’universo degli attori con magia e divertimento ma anche con tenerezza e poesia. È la storia di due commedianti ma anche quella del dietro le quinte di uno spettacolo teatrale, cosa che affascina molto gli spettatori perché permette di conoscere affondo la genesi di un evento teatrale, da come si costruisce una scenografia a come si fanno le prove. Barbara De Rossi dà un’interpretazione meravigliosa di questo testo. In scena con noi ci sono anche Isabella Giannone e Simone Lambertini“.
“Parlami d’amore”, di cui è regista e protagonista accanto a Nathalie Caldonazzo, quando va in scena e come declina il dialogo tra lui e lei?
“Il testo molto interessante di Philippe Claudel racconta come una coppia possa approdare ad una fase del rapporto in cui non ci si ascolta più. In questo testo il lui e la lei parlano senza ascoltarsi mai dall’inizio alla fine dello spettacolo. Sono una coppia in crisi che vive la fase più difficile di un rapporto, quella dell’esplosione, quella più critica e triste tra uomo e donna. È un testo straordinario, modernissimo, che dà la possibilità di narrare le problematiche di tantissime coppie di oggi, con un allestimento molto forte. Questo spettacolo ha debuttato l’anno scorso e riprende le repliche a fine ottobre con una tournèe che si concluderà ad aprile“.
Nei suoi spettacoli teatrali un motivo ricorrente è la relazione uomo-donna…
“Assolutamente sì, perché credo che sia l’asse portante della società e indagarla a teatro per me è fondamentale: attraverso l’analisi del rapporto uomo-donna si analizza una società intera, cosa importante soprattutto nei momenti di cambiamento. In particolare, in ‘Parlami d’amore’ attraverso questo scontro tra marito e moglie si pone l’accento anche sul rapporto genitori-figli rispetto al tema dell’educazione, quindi è uno spettacolo che parla anche della famiglia“.
Sul palcoscenico avviene più una sfida o un incontro tra questi due universi?
“Un incontro non facile che deve passare attraverso ostacoli, rinunce e sacrifici, profondendo impegno per comprendersi vicendevolmente“.
Si sta dedicando tanto al palcoscenico, ma ha anche film e fiction tra i suoi programmi futuri?
“Sì, dovrei iniziare le riprese di un film per il cinema a novembre, ma preferisco non entrare nei dettagli“.
È stato diretto dal grande Citto Maselli, ha modo di sentirlo ancora?
“Si. È uno degli incontri più belli professionalmente ma soprattutto umanamente che ho fatto. Ho avuto la fortuna di poter essere protagonista di un film straordinario come ‘Cronache del terzo millennio’ ed ho partecipato anche a ‘Le ombre rosse’, entrambi presentati alla Mostra del cinema di Venezia. Ho avuto modo di vivere il grande cinema attraverso l’incontro con Citto Maselli che è la storia del cinema italiano, sia come regista sia come sceneggiatore. Citto Maselli è la grandezza“.
C’è un suo insegnamento in particolare che la guida?
“Assolutamente si, che il nostro lavoro è artistico e coinvolge ogni cellula del nostro corpo e della nostra anima ma è anche e soprattutto un lavoro di grande artigianato. Questa matrice artigianale del lavoro mi è rimasta profondamente addosso e cerco di ricordarmelo sempre nell’affrontare giornalmente il mestiere del teatro, del cinema o della televisione“.
Dal suo punto di vista privilegiato, qual è la temperatura oggi rispettivamente di cinema, fiction e teatro?
“Io credo che il teatro sia in questo momento la forma d’arte più libera e, per quanto stia vivendo per ovvi motivi un momento di grandissima crisi, sia il luogo dove veramente si può parlare di tutto con una libertà che gli altri mezzi sinceramente in questo momento, a mio avviso, non hanno. Credo che la televisione sicuramente adesso viva un momento più felice del cinema, anche se nell’ultimo anno pure il grande schermo ha dato dei film bellissimi come quelli di Marco Bellocchio (‘Il traditore’) e Gianni Amelio (‘Hammamet’), entrambi con le interpretazioni straordinarie di Pierfrancesco Favino. Mi auguro che adesso il mondo dello spettacolo tutto riprenda tra le seppur grandi difficoltà dettate dal Covid. Ma sono ottimista, credo che piano, piano usciremo fuori da questo dramma“.
Si è appena conclusa la Mostra del cinema di Venezia, mi regala un suo ricordo del Lido?
“Sicuramente la prima volta, quando andai con ‘Cronache del terzo millennio’, un festival clamoroso per la direzione di Gillo Pontecorvo e presidente della giuria Roman Polanski. Nella nostra stessa giornata fu presentato un film come ‘Sleepers’ di Barry Levinson, con Robert De Niro. Negli anni la Mostra ha mantenuto il suo primato a livello mondiale ma è cambiato com’è cambiato il mondo, com’è cambiata l’Italia, com’è cambiato il cinema. Credo comunque che il festival di Venezia sia sempre un vanto e rappresenti un’eccellenza del nostro Paese“.