Life: il nuovo progetto discografico di Marco Parente è un vero “rinascimento”
È curioso che nel tuo curriculum sia annotato che sei nato lo stesso giorno di Marcel Duchamp (28 luglio 1887 – 2 ottobre 1968) – preciso, 82 anni dopo, nel 1969 – e che “Nella giungla” (Blackcandy Produzioni) – brano che anticipa il tuo nuovo album “Life”, in uscita il 23 ottobre – esca il giorno della sua dipartita. Perché questo nesso? “Geniale, non collegavo il 2 ottobre. Con Duchamp,come vedi, l’esoterismo creativo e surreale è dietro l’angolo e questa è la dimostrazione che c’è un grande filo diretto nei numeri, nelle date e nell’arte. Ciò mi rafforza questo convincimento di quando ho scoperto che ero nato lo stesso giorno e che ora addirittura questo pezzo che annuncia l’uscita di ‘Life’ con uno slancio alla vita coincide con la dipartita del signor Duchamp. Il 2 ottobre in realtà è morto per noi, ma è nato da un’altra parte“. Così mi risponde al telefono il cantautore Marco Parente.
Cosa racconta “Nella giungla”?
“È una canzone di amore tra due persone che possono essere di qualsiasi sesso, di qualsiasi specie, ma che nella relazione si ritrovano ognuno nella giungla del cuore dell’altro. In questa giungla alla fine l’unica cosa che possiamo fare è il dare e l’avere in funzione di quello che si è. Nel mio caso mi sono definito una brava persona e quello che posso fare in questa giungla è il pensare di oltrepassare la linea gialla, simbolo del quotidiano che sentiamo spesso quando andiamo alla stazione a prendere un treno. Quindi è sempre legato a ‘Life’, una parola che vuol dire tantissime cose. ‘Nella giungla’ è l’apertura a tutti gli effetti del disco perché è la prima canzone che si sente nell’album ed è l’inizio di un percorso del vivere, che può essere semplicemente l’inizio della giornata che poi si concluderà con l’ultimo brano, quindi con il tramonto e la sera, il corso di una giornata può diventare il corso di una vita“.
“Nella giungla” è il primo brano del disco “Life”, l’ultimo?
“Si chiama ‘Bar 90′ ed è un bar che è esistito realmente sotto casa mia. È un po’ un simbolo perché questo disco è stato tutto pensato, lavorato, vissuto e osservato dal mio quartiere, un quartiere di Firenze normalissimo, come tanti altri quartieri. Però in un quartiere come in un condominio c’è il microcosmo, la vita vera, le vere relazioni, i segreti, i misteri. C’è la vita che pulsa, molto più delle cose semplicemente immaginate o pensate dall’arte. Il quartiere è il tuo dirimpettaio, quello che succede nell’androne delle scale o il bar sottocasa, il supermercato, la via. Sono microcosmi che ampliati diventano la vita universale, in generale“.
È un disco nato durante il lockdown, periodo che ha rivisto mettere in primo piano i singoli quartieri nella vita di ognuno?
“No, assolutamente, no. Sembra, è una coincidenza, vista la parola ‘Life’ che vorrebbe reagire a un momento così drammatico in atto. Però no, la genesi di questo lavoro nasce tre anni fa. Il disco è già pronto da un anno e poi per vari motivi ancora non aveva visto la luce, ma non ha nessun legame di nessun tipo con quello che ci è successo di recente. Però appunto, come la storia di Duchamp, sicuramente è un lavoro dove ci ho messo tutto della mia vita, che conosco in ogni minimo dettaglio, e non è un caso che ho dovuto aspettare tanto per fargli vedere la luce, addirittura in un momento così buio per tutta l’umanità. Di sicuro, non è ispirato dalla pandemia, ma può essere usato come una parola di rinascita, di rinascimento nel senso meno artistico ma più vitale del termine“.
Il videoclip ufficiale di “Nella giungla” lo hai realizzato partendo da contenuti visivi del tuo smartphone, poi riassemblati dal graphic designer Samuell Calvisi: com’è nata questa idea?
“Ho sempre seguito l’immagine dei miei lavori, delle copertine, ma non mi ero mai spinto in prima persona. Non trovavo l’immagine a questo lavoro e un po’ per gioco nei momenti morti ho cominciato a fare delle foto nel quartiere. Poi ho iniziato a modificarle con l’app dello smartphone, proprio quella basica, iniziando a sviluppare tantissime immagini, graffiando, pixellando, sfocando, eccetera. Quindi prima è iniziata la parte dell’artwork, quindi tu vedrai nel disco, dalla copertina a tutto l’interno, tutte immagini elaborate con lo smartphone. Così ho scoperto una sorta di linguaggio che era molto pertinente con tutto il lavoro, per il modus operandi che ha avuto questo disco. Alla fine è venuto anche naturale, insieme al mio grafico, con il quale lavoro da un sacco di tempo, di sviluppare questo tipo di linguaggio. Da qui ho cominciato a fare miliardi di gif sempre con le foto che avevo fatto con lo smartphone: le montavo facendo una sorta di animazione primordiale. Poi ho affidato tutto il materiale a Samuell che lo ha montato con un senso anche proprio un po’ sperimentale, nel senso che non c’è mai l’inquadratura a schermo pieno. Si è lavorato quindi anche dal punto di vista del formato dell’immagine e poi dandogli una consequenzialità, un senso che è tutto molto sempre pertinente, coerente, con il disco, con il lavoro, perché ero sempre io, partiva da un mio punto di vista, sia nella musica, sia di conseguenza nell’immagine“.
Hai avuto nella tua carriera collaborazioni importanti come quelle con Carmen Consoli e Manuel Agnelli, “Life” conterrà qualche sorpresa di questo tipo?
“No, ‘Life’ è un disco in completa solitudine. Normalmente a parte special guest come hai citato, lavoro sempre con dei musicisti, in équipe. In questo caso è stata un’esigenza di tornare a una forma di gioco trovandomi di fronte a me stesso e a quello che avevo imparato in questi anni. Quindi è praticamente un disco registrato all’inizio tutto in casa, poi chiaramente riportato in studio e lavorato in un certo modo. Uno se dice in solitudine si aspetta una cosa intima, acustica, invece no, il disco è molto arrangiato, è molto sovrastrutturato, è molto contaminato e ci sono pochissime collaborazioni. Ho suonato tutto io praticamente, dalle ritmiche agli arrangiamenti. Ci sono solo qua e là delle incursioni di musicisti. L’unico nome che potrebbe essere uno special guest è Enrico Gabrielli che ha curato il quartetto d’archi di un brano, lo spazio tra i personaggi, poi per il resto è un disco totalmente lavorato in solitudine“.
Marco, a che punto sei del tuo percorso umano? Mi fa specie sentirti così “in solitudine”, ho l’impressione che sei un po’ nostalgico. So che è una domanda forse un po’ troppo intima, puoi anche rispondermi semplicemente dicendomi che libro hai ora sul comodino.
“In realtà non sto leggendo nulla in questo periodo e non è un periodo particolarmente malinconico. Se ti riferisci al fatto che ti ho detto che ‘ho lavorato in solitudine’, fa solo parte di un percorso che però andrebbe sviscerato un po’ da prima perché ci sono state delle altre tappe delle quali non abbiamo parlato nel mio percorso di musicista. Semplicemente è stata un’evoluzione che mi ha portato non a ritirarmi, ma un’esigenza di riprendere in mano tutta la parte creativa perché in questo momento sentivo che dovevo fare così. In realtà, ‘Life’, come dice la stessa parola, è un disco molto di apertura, anche rispetto a quello che ho fatto in passato, cioè è un disco di ‘rinascimento’, questa volta più riferito al periodo storico. Però è un ‘rinascimento’ che non è storico ma è quello di tutti i giorni che io ho notato e osservato nella vita più nascosta e meno sotto i riflettori, per quello ti ho parlato del quartiere, ti ho parlato di quello che potrebbe essere la mia stanza, del condominio e il quartiere sotto casa. Però alla fine se ci pensi anche l’Ulisse di Joyce, con tutte le dovute distanze, era ambientato su dei personaggi che fondamentalmente abitavano una sorta di quartiere, e si sta parlando dell’Ulisse. Come vedi possono essere tutte delle metafore più o meno evidenti ma più o meno colte. In questo caso io ho evitato tantissimo la letteratura, soprattutto nella scrittura dei testi che sono molto essenziali. Sono andato a togliere per arrivare a un riflesso che desse spazio più a una visione, a un linguaggio e a un’immagine, e quindi sempre alla musica che è la parte con la quale ci combatto tutti i giorni e sono maniacale. Però è più un fatto privato per me quello“.
Una frase simbolo del tuo ultimo lavoro?
“Il titolo di un brano potrebbe essere quella giusta, ed è una domanda che si fa questa canzone e si chiama: Ma quand’è che si ricomincia daccapo?”
Un raggio di sole.
“Sì, assolutamente!“.