Gheri, un nome garanzia di empatia!

In questo momento di sospensione che tutti condividiamo è bello ascoltare un brano che rispecchi in maniera poetica questo stato d’animo. È “Settembre” di Gheri, nome d’arte di Gabriele Cancogni, cantautore di Pietrasanta (Lucca), nato il 28 gennaio del 1981.

Gheri, perché hai scelto questo nome d’arte?

È un nome che ho preso da mio padre, che è un soprannome preso da mio nonno. Mio nonno è nato nel 1890 ed era figlio di Ernestina detta Gherilda, infatti è un nome ottocentesco. Il soprannome di mio nonno era Gherildo, mio padre era Gheri, diminutivo di Gherildo, e io sono Gheri Junior. Un roba di famiglia!“.

Quali emozioni ti hanno portato a scrivere “Settembre”?

L’ho scritto durante il lockdown ed era un momento di riflessione. In qualche modo ho cercato di immaginare, perché non è autobiografico, è uno dei pochissimi brani che ho scritto non raccontando di me, ma pensando a qualcos’altro. L’idea era di immaginare quest’amore sospeso, questa sospensione forse dettata anche dal lockdown, che sospende le relazioni, sospende e mantiene in sospeso alcune cose, questi non detti, magari il giorno prima hai litigato con un amico oppure dovevi chiarire con tua madre e questo lockdown in qualche modo ci ha impediti fisicamente di incontrarci, a volte anche di scontrarci, però nell’accezione più alta e bella del termine. In questa sospensione di relazioni umane, ho immaginato quello che succede anche in amore per cui spesso a volte il non detto pesa ancora di più di quello che è stato detto“.

Questa canzone è una ballata folk dai sapori del Midwest americano: è questa la musica in cui ti riconosci?

Sì, amo tantissimo il Southern rock, il Midwest, sonorità che amo tantissimo, sono un consumatore bulimico di cantautori americani di quelle terre“.

Il videoclip ufficiale di “Settembre”, diretto da Mairo Oiram, è stato interamente girato nei pressi del Lago di Massaciùccoli…

Tra l’altro, ironia della sorte, Massaciùccoli, se vai a vedere lo skyline del Massachusetts, è identico… Secondo me, i padri fondatori lì hanno giocato di ironia a chiamare quel lago Massaciùccoli…“.

Cosa ti lega al lago Massaciùccoli?

Ho scelto questa location perché rivedevo in un contesto naturale una sospensione, vedevo in qualche modo quello che poteva cercare di esprimere il brano, che il lago potesse contenere quello stato d’animo, perché il mare ha una sua dinamicità, una sua vitalità, la montagna ha una sua epicità, è un territorio epico, alto, quindi sono paesaggi molto espressivi; il lago lo vedo sempre come una forma di sospensione, come l’acqua calma che si rispecchia, il cielo che si rispecchia nel lago. C’ho visto questa sospensione, quindi ho detto: non c’è location migliore che girare su un lago per richiamare a quel tipo di significato che il brano portava in sé“.

Quanta New York e quanta Dublino ti sono rimaste dentro?

Tantissimo, ‘amabili resti’ (citazione dal film del 2009 diretto da Peter Jackson, ndr)… Sono cose che mi porto sempre dentro perché mi hanno fatto crescere tantissimo, sono ricordi umani, incontri, quindi sono cose che tuttora vivono dentro di me“.

Cosa ti hanno lasciato gli incontri con Paul Mooran, Zucchero e Fio Zanotti?

Paul Mooran è stato un incontro meraviglioso a Dublino. Io suonavo per strada, poi sono finito in un pub e ho incontrato quest’uomo che è musicista anche lui, un musicista folk, irlandese, e dopo in due mesi a casa sua abbiamo registrato il primo disco, perché lui aveva uno studio, mi ha insegnato a suonare i cucchiai e il bodhrán, mi ha fatto conoscere Christy Moore. Abbiamo passato le serate irlandesi in giro per locali, mi ha fatto vivere un po’ di Irlanda da irlandese e questo me lo porto sempre nel cuore. Mi ha portato addirittura al matrimonio di sua figlia, una situazione meravigliosa. Poi Fio Zanotti, un incontro molto bello. Ho passato un po’ di mesi sul suo Appennino, se non sbaglio a Monzuno. Col mitico Fio abbiamo passato delle nottate a scrivere insieme brani, a lavorare sulle canzoni. Partiva col suo mitico canino a cercar tartufi, un barboncino, per lui un grande segugio di tartufi! Con Zucchero ci siamo incontrati quando sono tornato dal Colorado. Avevo realizzato questo demo, questo provino con un po’ di canzoni dalle sonorità del Midwest, americano un po’, il Southern rock soprattutto. Incontrai un mio carissimo amico, che tuttora mi produce e collaboriamo insieme, Max Marcolini, che lo ringrazio tuttora ed ha prodotto anche questo brano, che lui è il produttore artistico di Zucchero e di Sting. Quando gli mandai il provino, all’epoca avevo vent’anni, non mi ricordo, a lui era piaciuto moltissimo, mi disse: ‘Dai, vieni qua che lavoriamo insieme!’. Per quella via lì, Zucchero aveva intrasentito il mio provino, era piaciuto anche a lui e mi chiamò: ‘Dai, lavoriamo insieme’. E abbiamo fatto una collaborazione che è durata due dischi, sia ‘Fly’ che ‘Chocabeck’. La cosa più bella della telefonata è stata che era Zucchero che mi chiamava ed è durata mezz’ora la chiamata di cui 25 minuti in cui c’era lui che cercava di convincermi che era veramente Zucchero e gli ultimi cinque minuti in cui mi ha detto: ‘Vieni da me, andiamo’!“.

C’hai creduto solo quando poi l’hai incontrato dal vivo?

No, poi c’ho creduto al telefono, è inconfondibile!“.

Ad aprile la regista spagnola Sonia Madrid ha realizzato un docufilm sulla pandemia Covid 19 dal titolo “Nuestras Voces” ed ha scelto come colonna sonora il tuo brano “La Radio”: com’è nata questa collaborazione e cosa ti ha donato questa esperienza?

Eravamo in pienissimo lockdown, mi squilla il telefono ed era un mio vecchissimo amico che è una guida escursionistica, uno che ha girato il mondo, che ha fatto l’esploratore proprio ottocentesco con zaino in spalla ha fatto l’Himalaya, la Groenlandia, il Tibet, è uno che è sempre in giro per il mondo. Quando io ero un ragazzino piccolo, piccolo, lui fu uno dei primi a portarmi sulle Alpi Apuane, mi portava in giro a fare escursioni. È lì che mi sono innamorato della chitarra perché la sera attorno al fuoco cantava ‘Fiume sand creek’ di De Andrè ed io rimasi affascinato e tutti i giorni gliela chiedevo di suonare, è bellissima. Poi, ad un certo punto, mi disse di imparare così l’avrei suonata io. Così ho preso la chitarra con i primi tre accordi e non l’ho più mollata. Che è successo allora? Sono passati molti anni con lui sempre in giro ed una mattina suona il telefono e mi dice: ‘Gheri, guarda, io sono in Spagna, a Malaga, stavo ascoltando le tue canzoni che mi piacciono molto’, tra queste c’era il brano ‘La Radio’ e ‘c’è questa cineasta che avrebbe il grande piacere di usare il tuo brano per fare questo documentario che sta realizzando’. Da lì è nata la collaborazione, hanno preso il brano e l’hanno messo sul documentario“.

Hai avuto modo di confrontarti con Sonia Madrid almeno al telefono?

È una persona splendida, donna di grande spessore, una grande artista. Poi, tra l’altro, quando mi mandava via, via i girati, sono rimasto affascinato e onorato del fatto che lei aveva il grande piacere di avere il mio brano come colonna sonora, quindi è stato un dialogo bellissimo che dura tutt’oggi, ci sentiamo tutt’oggi“.

Avete in progetto di fare qualche altra cosa insieme?

Sì, mi ha detto che ora sta lavorando su un altro progetto e mi faceva sapere, ci teneva molto ed io ho detto: ‘A disposizione!’. Mi è piaciuta questa cosa Italia-Spagna, una cosa molto bella. Tra l’altro, è successa nel periodo in cui noi eravamo più aggrediti dal Covid e anche la Spagna era messa malissimo, era all’inizio della pandemia, con Italia e Spagna quali paesi sotto scacco. Avere la possibilità di contribuire attraverso un docufilm a quello che stava accadendo mi ha riempito di gioia“.

Il mondo delle colonne sonore quanto lo senti tuo?

Non ne ho la competenza, la colonna sonora è impegnativa, devi avere una preparazione classica, insomma. Magari se prendono un brano che hai scritto di musica leggera o ritenuta tale e poi viene presa e usata come sound track di un documentario e un film va benissimo, però la colonna sonora, secondo me, implica una preparazione che io non ho. Io vengo dalla strada, dai locali, nel suonare col folk, il rock, invece per la colonna sonora devi essere un po’ più preparato… della serie: devi aver bevuto meno birre e suonato di più!“.

Qual è la tua birra preferita?

Ce ne ho diverse, un po’ di belle birre mi fanno compagnia, sempre con moderazione!“.

Come prosegue ora il tuo percorso discografico?

Sono in studio, sto cercando di ultimare il disco, l’ho quasi finito, e avanti tutta: si suona, si scrive in studio e poi, Covid permettendo, vedremo se ci sarà la possibilità di suonare in giro, che è quello manca di più a tutti noi che facciamo musica. Quindi si scrive e si va avanti, aspettando giorni e tempi migliori che sono sicuro arriveranno“.

Stai chiudendo un concept album?

Questa è una domanda un po’ insidiosa perché magari dici che non lo è perché l’hai realizzato senza quell’approccio, poi ti giri e vedi che c’è un filo che lega ogni brano all’altro, quindi magari di fatto lo è. Sicuramente, l’approccio non è da concept album, ma magari lo sarà, ma lo vedi a cose fatte: vedi le canzoni e constati che c’è un filo narrativo che le lega. Al momento, no, non credo“.

Sarà pronto in primavera?

Sicuramente“.

Qual è il tuo motto?

Io di motti non ne ho (ride, ndr)… Ad maiora!“.

Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio ad alta voce…

Che questo Covid se ne ritorni da dove è arrivato il prima possibile, per tutti noi!“.

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