Michele Mud, “sporcarsi” le mani nel “fango” per dare un senso alla vita e portarle rispetto
La bontà d’animo e la perspicacia di Michele Mud, al secolo Michele Negrini, si sente in ogni strofa delle sue canzoni. Dopo il primo album “D’amore e di fango” (Irma Records), è tornato con un nuovo disco, “L’amore non ha ragione”. Classe 1976, è nato e vive tuttora in un paese che si chiama Sermide (Mn) e “la cosa al di là dell’accezione geografica che mi piace, è che vivo lungo il fiume Po – racconta – e questo me lo porto nel nome perché Mud vuol dire fango (in inglese, ndr) ed è il fango della terra sottratta all’acqua, mi porto dietro ciò con il valore aggiunto che dobbiamo recuperare un po’ il rapporto con la terra su cui viviamo. Ad esempio, io vivo e cammino tutti i giorni su una terra che il fiume potrebbe decidere in ogni momento di volersi riprendere, quindi ogni giorno è un giorno che noi dobbiamo ringraziare il fiume per lasciarci vivere in questa terra e a volte ce ne dimentichiamo“. Spesso nei live quando presenta una canzone dice: “Il fango in realtà ha di bello che dentro ha sia la terra che l’acqua e l’acqua per me è la parte trasparente della vita, i nostri sogni, le nostre ambizioni, le nostre cose belle, le nostre passioni, quelle trasparenti; mentre la terra è un po’ lo sporcarsi le mani tutti i giorni della quotidianità. Il fango, che ha tutt’e due, rappresenta il voler quotidianamente lottare, costruire i propri sogni, i grandi orizzonti nella quotidianità“.
Michele, com’è nata questa riflessione sul “Come stai?” del singolo “Chiedimi come sto” estratto dal tuo ultimo album?
“È nata prima di quello che stiamo vivendo, quindi in tempi non sospetti. Eravamo in un periodo in cui vedevo tra social e tv la corsa alle cose finte: i follower che si comprano, le fake news a cui bisogna credere… Tutte queste cose, mentre nessuno che s’interessasse delle cose vere, quindi cavolo, mi sono detto, chiediamo pure come sto ad un’altra persona ma fondamentalmente non ce ne frega di quello che ci risponde. Anzi, se non ci risponde ‘bene’, è una ‘rottura di scatole’ perché ci tocca anche star lì ad ascoltare quello che ci racconta. Quindi ho detto almeno quella domanda lì, che apparentemente è quella più scontata che facciamo, in realtà è la più profonda che possiamo fare ad un essere umano e sarebbe bello che ce la potessimo fare ogni tanto rispondendo la verità“.
Condivido appieno da sempre questa riflessione, spesso mi trovo dubbiosa nella risposta: se dire la verità o la “sana” bugia della convenienza cioè “Come sto? Bene, grazie”…
“Esattamente!“.
Com’è nata la collaborazione con Tommaso Cerasuolo in questo brano?
“Tutte le collaborazioni di questo album ‘L’amore non ha ragione’ nascono da una conoscenza trasformatasi in amicizia. Questa, in particolare, si sviluppa all’interno della Banda Rulli Frulli, che è presente anche nell’album, che ha le radici in Emilia Romagna sul tema dell’inclusione, realizzando tutti gli strumenti con materiale di recupero. Tommaso collaborava con loro, ho cominciato anch’io a collaborare con loro, e da qui è nata l’amicizia con lui. Tutti i brani dell’album nascono solo con me, ma poi mi accorgevo che da solo non sarei riuscito a valorizzarli come avrei voluto, così ho cercato alcune volte una chitarra, altre una voce, come nel caso di Tommaso che in ‘Chiedimi come sto’ ha dato il colore che mi mancava“.
A questo punto raccontami l’essenza dell’album “L’amore non ha ragione”.
“È un periodo in cui la musica italiana e pop tende a raccontare l’esistente, a prendere atto della tristezza in cui stiamo vivendo, un po’ di relazioni tragiche, niente che vada bene, ci raccontiamo – anche con formule belle e simpatiche – la tristezza che stiamo vivendo. Io volevo raccontare che in qualsiasi contesto si può intravvedere una piccola luce. Quindi ho fatto un album dove provo a raccontare che questa luce sta nel fatto che ci si può ancora guardare negli occhi, che ci si può prendere per mano, ci si può costruire dei progetti insieme, cioè queste cose bisogna riprovare a farle per far meglio, il che tante volte queste cose che ci fanno stare bene non sono razionali, non hanno a che fare con il bilancino dei più e dei meno dei bilanci aziendali, ma hanno a che fare con una passione, l’amore, con il lanciare il cuore oltre l’ostacolo e il darsi una mano. Tutto l’album ha questo filo conduttore“.
Nel tuo percorso ci sono premi importanti di valore sociale (“Voci per la Libertà – Una voce per Amnesty” e menzione speciale “Musica contro le Mafie” e Libera): dimmi delle tue note in prima linea.
“Fa parte un po’ della mia storia, nel senso che prima che la musica diventasse anche il mio lavoro e dedicassi tutto il mio tempo possibile alla musica, ho fatto in tempo a fare anche molte esperienze di volontariato, pure all’estero, solidarietà, tante cose e mi porto dentro questa attenzione verso il mondo, verso chi mi sta intorno e quello che mi succede intorno. Mi piace, è una sensibilità che ho e non voglio nasconderla nelle mie canzoni, a prescindere da quello che chiede il mercato, da quello che va di moda, è una mia sensibilità e per me è importante che ci sia anche questo nelle canzoni. È chiaro che non sono solo canzoni sociali. Ma qualcosina ce l’ho messa perché per me è una cosa molto importante. Per me l’artista non è uno che sta nella sua cameretta e guarda il foglio bianco, ma è uno che sul foglio bianco ci porta quello che trova nella vita e nel mondo“.
Mi regali un’immagine simbolica della tua esperienza di volontariato…
“Un piccolissimo aneddoto che per me ha significato molto appunto nelle mie lavorazioni è stato che quando pensiamo alle persone che stanno peggio di noi pensiamo a delle cose che noi non faremmo mai nella vita, come ad esempio andare a rovistare nei cassonetti dell’immondizia, ci sembrano di quelle azioni che fanno solo le persone che stanno veramente male e noi non faremmo mai. Mi è capitato, mentre stavo facendo volontariato in Cile, che un ragazzo nella Casa famiglia in cui ero, mi chiedeva di andare con lui a vedere nei cassonetti dell’immondizia per trovare dell’alluminio che lui raccoglieva per andare poi a prendere dei soldi rivendendo l’alluminio. Io in quel momento sono andato con lui e mi sono reso conto che per gli altri si possono fare cose che per noi magari non faremmo mai. Questa cosa mi ha colpito molto. Mi ritrovavo io a rovistare in mezzo a questi cassonetti e lo facevo volentieri perché stavo facendo qualcosa per un’altra persona. Quindi questa me la ricordo perché mi ha un po’ segnato in quel momento“.
Grazie di aver condiviso quest’esperienza con me. Tra i vari riconoscimenti che ti sono stati insigniti c’è anche “Via Emilia” dedicato ai cantautori: come ti sei avvicinato a questa declinazione della musica?
“Quello è un concorso nato tra l’altro a Sassuolo, che è terra di nascita di Caterina Caselli, di Pierangelo Bertoli, di Nek, di grandi personaggi che hanno dato tanto, quindi mi ero iscritto a questo festival guardando un po’ a questi grandi artisti che rappresentano anche in modo vario la canzone d’autore in realtà. Mi è piaciuto avvicinarmi con la mia sensibilità e mi ha fatto molto piacere che nonostante appunto la canzone d’autore, se la prendiamo storicamente, ha una sua connotazione e che oggi è tutt’altro rispetto a quello che era negli anni Settanta, il fatto che si sia riconosciuto che c’è stata un’evoluzione anche premiando me ed altri nel corso degli anni, questo significa che la canzone d’autore c’è, è in evoluzione e si riconosce la qualità delle canzoni anche quando magari sono più vicine al pop o ad altri generi“.
Mi piace osservare questa sfumatura, ma dimmi come ti sei formato cantautore…
“È la parola cantautore che io uso poco nel senso che ha una connotazione storica alla quale non mi sento particolarmente legato. Se io penso alla mia parte musicale in questo momento la sento più vicina all’accezione di songwriter americana, nel senso che musicalmente mi sento vicino ai Damien Rice, Jack Johnson e Paolo Nutini dal punto di vista musicale, però in Italia abbiamo i Niccolò Fabi, i Daniele Silvestri, i Brunori Sas, gli Ermal Meta, gente che sta scrivendo cose come autore che secondo me nell’accezione del songwriter sono tutti dentro, se invece a cantautore ci diamo quella connotazione un po’ storica sembrano non starci, per quello è una parola che uso con molta attenzione“.
Quali i tuoi modelli musicali di riferimento?
“Da un punto di vista musicale un po’ questi mondi, cioè come ti ho detto Damien Rice, Jack Johnson, Paolo Nutini. Per la mia musica quando penso alle canzoni che devo registrare, penso a quei mondi lì: acustici, solari, con ritmo, cose di questo tipo. Poi, nella mia formazione in realtà, da un punto di vista della scrittura, si riprende il cantautorato italiano, l’ispirazione me l’hanno data Dalla, Battisti, De Andrè, così come in ambito inglese Sting è uno degli artisti che seguo da sempre come Peter Gabriel. Tutti loro magari si sentono poco nella mia musica, ma fanno molto parte del mio percorso“.
Lo strumento musicale tuo fedele amico?
“Sicuramente la chitarra, negli ultimi anni sempre più acustica direi“.
Quale chitarra suoni?
“Ero partito con una piccola Martin, poi dopo sono passato alla Gibson e ho usato questa negli ultimi anni, ma adesso sono passato alla Cole Clark e devo dire che mi ci sto affezionando“.
L’autenticità che posto occupa nella tua vita?
“Uno spazio che ogni giorno è da conquistare, una conquista quotidiana, perché non è un obiettivo che non si raggiunge mai o che si raggiunge sempre, si raggiunge facendola, quindi è una cosa che non possiamo mai dare per scontata, che a volte pur impegnandoci facciamo fatica a raggiungere. Per me è importante averla come obiettivo e come faro, a volte ci si riesce, a volte è più difficile“.
Qual è il tuo motto?
“In realtà ho un hashtag… Il mio hashtag è #restiamovicini nato molto prima della pandemia, è un po’ sempre legato al fatto che mi piace pensare che in ogni situazione, in ogni contesto, ci sia la possibilità sempre di trovare le cose che ci legano e che fanno parte delle nostre cose più profonde come esseri umani“.