Tommaso Novi, il “terzino” che si “fischia” da sé il “fuorigioco”
Sei di Pisa, conosci Marco Malvaldi? “Lo scrittore di gialli? L’ho incontrato una volta, ci siamo stretti la mano, è una persona molto ganza“. Comincia così la gioviale chiacchierata con il musicista Tommaso Novi, un mostro di simpatia. È nato il 13 luglio 1979 ed è tutta la vita che si accompagna con il “fischio” della felicità. Suoi pregi e difetti? Con lui ci si scherza sopra. “C’è una cosa che per me è sia un pregio che un difetto. Non sono rancoroso e mi dimentico il giorno dopo di qualsiasi litigio, di qualsiasi frizione, sia sul lavoro, sia in amicizia che in amore. Penso che questo sia un grande pregio, ma anche un grande difetto perché mi porta gioie e difficoltà nella vita“. Non contento però ci ripensa e dice che è meglio affermare: “Il mio peggior difetto è l’egoismo sicuramente, mi scopro a 41 anni un po’ egoista, ci sto lavorando, sto cercando di migliorarla questa cosa, credo sia importante. Un mio pregio è che sono ottimista, sono un inguaribile ottimista“. Io aggiungerei che sei empatico. “Sì, sono molto empatico, anche troppo!“.
Tommaso Novi sei pianista, cantautore e musicoterapista: qual è stato il tuo percorso formativo?
“Io ho iniziato a 5 anni gli studi pianistici che ho portato avanti fino ai 30 anni anche se poi la musica, chi fa il mestiere mio, non dovrebbe mai smettere di studiarla e frequentarla con un’attenzione in più oltre a quella dei live e dei dischi, bisognerebbe migliorarsi costantemente. Ho fatto studi pianistici e poi mi sono iscritto al Conservatorio di Firenze e ho compiuto studi di Composizione, anche se non ho mai preso il Diploma di Composizione. A 20 anni ho conseguito il titolo di musicoterapista e poco dopo ho cominciato a scrivere canzoni. Questo è più o meno la cronologia esatta“.
La musicoterapia mi affascina.
“Sulla musicoterapia sono piuttosto critico, soprattutto nel modo in cui la affrontiamo nel nostro Paese. All’epoca della formazione scoprii un mondo molto interessante. Io ho avuto la fortuna di lavorare sul campo. Ho lavorato con l’autismo, con problemi della condotta alimentare e ho lavorato anche con pazienti con patologie degenerative del cervello, quindi demenze, Alzheimer. etc. Purtroppo in casa nostra è molto difficile fare questo mestiere e quindi si rischia di finire per confondere il ruolo del musicoterapista con quello di un clown di corsia. Con tutto il rispetto che nutro nei confronti di quei medici che si mettono il nasino rosso e vanno dai malati a sollevarli, ma la musicoterapia dovrebbe essere profondamente diversa, più complessa e non riusciamo, perché in Italia non è riconosciuta ancora la figura e ci sono molti dubbi e molti ciarlatani“.
Il tuo ultimo singolo, “Aria” (Blackcandy Produzioni), da quali suggestioni nasce?
“Io volevo raccontare una storia d’amore. È un brano che ha avuto un percorso molto lungo e quindi la scrittura è passata attraverso più fasi di questo rapporto, anche attraverso cambi di rotta, attraverso grandi dubbi che comunque sono normali in amore. Nel finale s’intuisce che questo rapporto, che questa storia d’amore poi ha un’evoluzione positiva, piacevole. Questa è la genesi più o meno, che poi è la mia storia d’amore più recente“.
Sei ancora con questa persona?
“Sì, è Carolina“.
Come nasce il videoclip immerso nell’acqua? E, curiosità, dove lo hai girato e come hai incontrato l’apneista Sara Chirico?
“Per caso stavo lavorando al brano e mi misi a guardare un video di Michael Phelps, che è un nuotatore americano che ha stracciato tutti i record nel recente decennio. Mi accorsi di questo interessante contrasto tra il testo, la musica e le immagini acquatiche, allora progettai di fare un video acquatico. Se non che mi venne in mente la possibilità di fare un video proprio in apnea. Cercai Umberto Pelizzari, ma mi rispose Sara Chirico. Umberto Pelizzari è un campione italiano, ha riscritto le regole dell’apnea profonda, ha ideato anche un modello didattico rivoluzionario molto importante che ha ridefinito i canoni e i limiti dell’apnea. Sara Chirico, invece, mi risponde su Facebook all’appello dicendomi, se ‘Umberto non ti risponde, io sarei estremamente felice di essere l’attrice per il tuo video’. Conosco Sara Chirico. Conosco Carlo Cianti, che è l’operatore subacqueo che ci ha dato l’idea di un video in un torrente. La mia idea era di girare in mare, Carlo Cianti ci porta nel torrente La Lima, che è sull’Appennino tosco-emiliano ed è un torrente d’acqua dolce che crea, ad un certo punto del percorso, un orrido, un canyon molto stretto e molto profondo. Ci sono queste buche profonde 10 metri con quest’acqua molto caratteristica, perché ha una trasparenza eccezionale e questo viene fuori molto forte nel video, con questi colori straordinari e questa luce che filtra dall’alto a fare dei giochi molto belli. Le prime immagini che abbiamo girato per prova quest’estate ci hanno subito dimostrato che l’operazione poteva essere davvero interessante. È stato un lavoro molto lungo perché da agosto noi abbiamo cominciato ad immergerci fino alla fine di ottobre con l’acqua molto fredda, in condizioni estreme, perché La Lima in ottobre ha temperature dell’acqua intorno ai 10 gradi. Noi eravamo bardati di muta, ma è stata una prova veramente impegnativa“.
Tu fai apnea?
“Sì, io sono un apneista. Non l’ho mai fatto a livelli da atleta come Sara. È un percorso che ho cominciato da bambino e ho ripreso proprio in occasione di questo video. Mi sono rimesso la muta, sono tornato in acqua e ho ritrovato una grande gioia per questo mondo e questo tipo di attività. Mi piace tanto. Sto uscendo in mare anche in questo periodo. Ogni volta che posso prendo e vado ad immergermi“.
Ritornando all’incontro con Sara…
“Conosco Sara. È bellissima, è talentuosa, molto intelligente, una persona che parla poco, che ha una grande sensibilità e che ha portato nella mia estate, in quel periodo in cui ci siamo frequentati per girare il video, un’estrema pace, mi ha portato grande pace e grande equilibrio. Pensa che per andare sottacqua con lei ho smesso di fumare. Ora non so quanto resisterò… Già mi sta tornando la voglia in questo periodo“.
M’incuriosisce la cattedra di Fischio Musicale a Pisa, alla Scuola di Musica G. Bonamici (attualmente collabori anche con il Dipartimento di Didattica del Conservatorio di Musica “L. Cherubini” di Firenze con un tuo progetto su questa disciplina), racconta: tutto ha inizio da Sergio Leone ed Ennio Morricone?
“Io da bambino ho sempre fischiato imitando mio padre e mio nonno. Ad un certo punto questo fischio è diventato un aspetto anche un po’ problematico nella mia infanzia, perché io sono sempre stato un bambino piuttosto agitato e questo fischio ad un certo punto è diventato un tic nervoso. Io fischiavo costantemente, tutto il giorno, in classe, in piscina, agli allenamenti ed ero anche motivo di disturbo per chi mi stava attorno. Poi questa ‘malattia’ è passata, ma mi sono ritrovato più o meno all’età di vent’anni con uno strumento piuttosto rodato. Ovviamente fischiando quotidianamente per anni, ho sviluppato un bel suono, una discreta sensibilità, una buona intonazione e una grande estensione. Ad un certo punto, a vent’anni, dei miei amici mi propongono ‘Tommaso, perché non ci insegni a fischiare?’, ricordo ancora quella notte in cui mi venne fatta questa proposta. Il giorno dopo scrissi un paio di appunti su un foglio e questi appunti poi sono diventati nel passare degli anni un modello didattico che non esisteva, che nessuno ha mai anche tentato di produrre, anche perché il fischio tutt’oggi non ha una collocazione ufficiale nella musica, non esiste didattica, non esiste nemmeno una organologia, non è mai stato fatto nessun tipo di approfondimento sul funzionamento. Io ora sono più di dodici anni che insegno, ho molti allievi da tutta Italia, quelli che non riesco a seguire a Pisa, in classe, li seguo online, e da circa due anni ho una collaborazione aperta con il Conservatorio musicale Cherubini di Firenze, per cui un gioco che poi è diventata una cosa seria di cui vado molto orgoglioso. Si fischia prevalentemente materiale barocco, quindi Bach, Mozart, ma il repertorio poi sfocia fino ai giorni d’oggi. S’improvvisa sugli standard jazz, si legge, si compone. È un percorso musicale a tutto tondo che poi in base all’esigenza dell’allievo si deve strutturare in modi diversi“.
Hai inciso il tuo fischio nelle colonne sonore di alcuni lungometraggi come “La Prima cosa bella” (di Paolo Virzì) e “Una festa esagerata” (di Vincenzo Salemme) lavorando a fianco del maestro Nicola Piovani: quanto ti entusiasma il mondo delle colonne sonore?
“Probabilmente è dove sono sbocciati i primi amori, siamo quella generazione che è stata molto di fronte al televisore. Gli anni Ottanta li ricordo con questi inverni passati sul divano a guardare i cartoni animati, ‘Bim Bum Bam’, film, per cui i primi contatti, il primo interesse per la musica è probabile che venga anche di lì. La colonna sonora è una musica prestata e quindi è una musica funzionale. In parte per me rappresenta un po’ un limite, perché mi piace scrivere musica assoluta che ha una sua vita, una sua indipendenza, ma non si deve fare l’errore di considerare la musica relativa come una famiglia meno nobile e meno dignitosa, anzi a scrivere musica per le immagini ha i suoi grossi problemi e richiede grande studio e grande sensibilità“.
Adesso stai lavorando a un film?
“No, sono fermo con le colonne sonore in questo momento. Lancio un appello ai migliori registi del globo terracqueo: c’è un fischiatore professionista disponibile!“.
Un consiglio a chi non sa fischiare?
“Deve provare a emettere una ‘u’ che assomiglia piuttosto a uno ‘you’, con la fonazione delle corde vocali e ad un certo punto interrompe la fonazione, ma continua a buttar fuori aria, in quel momento dovrebbe uscire qualcosa. Poi con piccole modifiche, microscopici spostamenti, sia del labbro che interni alla bocca, qualcosa prima o poi dovrebbe venir fuori. Bisogna sempre essere molto lubrificati nelle labbra e avere un’emissione delicatissima. Di solito chi non sa fischiare è perché emette troppa aria, soffia troppo forte!“.
Grazie della dritta! Torniamo alla tua musica. Dopo sei produzioni discografiche con il gruppo I Gatti Mézzi (2005 – 2016), incidi un disco da solista nel 2017 “Se mi copri rollo al volo” (Vrec – Warner Chappell). Oggi un nuovo singolo, “Aria”. Come proseguirà questo tuo percorso musicale?
“Io sto impazzendo perché non vedo l’ora di far uscire questo nuovo disco che si chiamerà ‘Terzino fuorigioco’, prodotto da Blackcandy Produzioni. ‘Aria’ si colloca nel momento di attesa, stiamo ormai sbriciolando i dischi in singoli per temporeggiare e cercare di superare questo momentaccio. Non appena sarà possibile mettere in piedi un tour come ce lo ricordiamo noi, quindi non un tour streaming, ma nelle piazze, nei club gremiti di gente, partiremo con il tour di ‘Terzino fuorigioco’. Poi io ho in mente tanto altro lavoro, sto già scrivendo roba che andrà nel disco successivo. Per me incidere dischi è la mia linfa, il motore che mi dà gioia, le scadenze e mi detta il ritmo della vita. Poi bisognerebbe aver la possibilità di suonare, di fare concerti, perché se no si fa fatica e si perde la messa a fuoco sulle cose. Si finisce per contare i like di Facebook, quando invece è importante vedere il pubblico sotto il palco, capire come risponde, se si emoziona, se si annoia, questo ora c’è stato tolto, aspettiamo che ritorni“.
“Terzino fuorigioco”: perché questa figura? Sei un appassionato di calcio?
“Non sono un appassionato di calcio, anche se mio figlio Furio che ha 10 anni gioca a pallone – tra l’altro, ha registrato la sua prima take nel brano ‘Aria’, suonando delle percussioni! -. Quindi, andando a vedere mio figlio giocare, è rinato un po’ d’amore, sono rinati i ricordi antichi di quando da bambino giocavo a pallone. ‘Terzino fuorigioco’ è un ossimoro, non importa essere esperti di calcio per capire che il terzino, che è un difensore, non dovrebbe trovarsi in posizione di fuorigioco. Mi serve un’immagine abbastanza buffa per raccontare la mai posizione di 41enne, ‘nel bel mezzo del cammin di nostra vita’, scrisse un vecchio caro nostro amico. Ecco questo potrebbe essere il giusto pensiero, il sentirsi fuoriluogo a metà strada: ho fatto i passi giusti? Mi trovo dove volevo essere? Siamo sicuri che a 40 anni ho fatto tutti i conti a modo? Sono contento della mia vita? Ecco, ‘Terzino fuorigioco’ mi serve per raccontare queste cose con 12 canzoni“.
Un bilancio della vita in musica.
“Un bilancio di metà vita“.
Mi fai dono della tua massima?
“Bisogna essere curiosi e non accontentarsi mai, anche a costo di rischiare qualcosa!“.