Kreky & The Asteroids: “Dust” resta la colonna sonora di Natale, ma anche “Average” è immensa
Si viene trascinati in atmosfere avvolgenti dal brano “Average” di Kreky & The Asteroids (pubblicato su etichetta Romolo Dischi e distribuito da Pirames International), con la collaborazione del maestro Carmelo Pipitone, che è racchiuso in un videoclip costruito con un collage di filmati, come video privati e registrazioni in studio presso l’Hombre Lobo Studio. “Carmelo è un maestro in tutti i sensi“, racconta Kreky al telefono. Kreky nasconde la propria identità, ma non al punto di rivelare che è l’unico sardo in una band tutta romana nata qualche anno fa. Precisamente Kreky è del Campidano, ma se gli chiedi un motto si rifà al bagaglio del Logudoro perché è cresciuto con le note dei Tazenda e ama il passaggio “Puru cando…calchi cosa andat male” (“Anche quando…qualche cosa va male”) della canzone “Etta abba chelu” che nei versi precedenti recita: “Ma se la pioggia è il sudore del cielo/Noi dovremmo essere come cavalli/Stanchi ma felici di correre”. Kreky suona soltanto la chitarra, “posso fare qualcosina tutt’al più al piano“, ma quando compone ha tutti gli strumenti in testa. “Fosse per me scriverei almeno uno, due brani al giorno – dice -. Comporre è un dono perché si tramuta un sentimento in una nota musicale”.
Kreky, tu sei in anonimato, ma mi dici i nomi dei componenti della band?
“Valentino, non so il perché si fa chiamare ‘l’uomo scimmia’, è il nostro chitarrista. Il tastierista è Jimmy. Luca è il batterista. Daniele è il bassista“.
Come mai tanto mistero attorno a Kreky & The Asteroids?
“Ho imparato che l’anonimato ogni tanto è una cosa molto utile. Ho 31 anni e ne ho passate già abbastanza“.
Il vostro progetto nasce due anni fa, raccontami la genesi.
“Io venivo da un’altra band, che si chiamava Mad and Waves, eravamo andati a registrare in studio dall’eccezionale produttore che si chiama Davide Lasala di Edac Studio. Purtroppo quel gruppo si è sciolto, ma ho deciso di andare avanti. Ho radunato tutti i migliori musicisti che erano anche amici, tutti loro hanno accettato immediatamente e siamo partiti subito. Il nome l’ha deciso Valentino: The Asteroids. Ha avuto questa illuminazione una sera che stavamo al pub del nostro tastierista, a San Lorenzo, l’Underdog’s, e ha detto: ‘Raga, questo è perfetto, The Asteroids, è anni Ottanta, figo’. Il batterista gli ha detto: ‘Sì, hai ragione, è fighissimo’. È andata, abbiamo scelto il nome“.
Un piccolo bilancio di questi primi due anni?
“Per quanto riguarda il mercato italiano, io non ho grandi aspirazioni. Non mi aspetto niente. So com’è fatta la musica in Italia. So che avremmo dovuto tirare fuori le chitarre e scrivere in italiano. Questa qua è una cosa fatta per il mercato estero, ne siamo consapevoli. Ce l’hanno detto i produttori, c’hanno chiesto di fare le stesse canzoni in italiano per etichette importanti. Però io in particolare, che scrivo i brani, i testi, sono di testa dura e non m’importa niente, quindi faccio quello che voglio fare. Almeno in questo progetto. Poi magari si può fare in un altro progetto in italiano“.
Affondate le vostre radici nel roots rock statunitense, come guardate al mercato discografico oltre confine?
“A noi piacerebbe guardare ad un mercato discografico oltre confine, il problema è che c’è difficoltà di comunicazione in questi casi, nel senso che le medie etichette che stanno negli Stati Uniti devono poter controllare i musicisti che hanno sotto mano e fargli fare i tour anche per rientrare delle spese e quant’altro. In questo caso, essendo in Europa, in particolare in Italia, non c’è proprio verso di fare questa cosa qua. Quindi ovviamente noi guardiamo e cerchiamo di avvicinarci al mercato estero, anche perché il secondo paese, su Spotify, di ascolti, è sempre e soltanto gli Stati Uniti, dopo l’Italia che è prima, perché in automatico gli algoritmi ti portano lì ad ascoltare questo tipo di roba qua. Per cui dico: magari avere abbastanza seguito per poter andare direttamente negli Stati Uniti!“.
Quindi ci vorrebbe che qualcuno di lì s’innamorasse e investisse su di voi?
“Sarebbe una grande cosa. Adesso ci limitiamo, che è un parolone, perché già aver fatto una collaborazione con Carmelo Pipitone che per me è tra i tre migliori chitarristi che io abbia mai sentito e visto dal vivo, è già tanto per noi, nel senso che non è un punto d’arrivo, ma è davvero un grande traguardo perché non ci saremmo mai aspettati ci dicesse di sì. È stata una sorpresa”.
Chi sono gli altri due chitarristi?
“Almeno per me sono Jimmy Page e Mike McCready, ma non posso parlare per tutto il gruppo perché già il chitarrista mi starebbe mangiando il collo“.
Continuerà in qualche modo la collaborazione con il maestro Pipitone?
“Sicuramente quando ci saranno modo di fare i live, saremmo onorati e felici di fare quello che ci siamo detti l’ultima volta che ci siamo sentiti, cioè che non appena si apre tutto quanto facciamo un bel live insieme“.
Come proseguirà il vostro percorso discografico?
“Noi abbiamo un altro singolo entro breve, verso la seconda metà di gennaio, e dovremmo fare la pubblicazione dell’album intorno a febbraio, ma sicuramente slitterà a marzo, sperando riaprano i posti per fare i live almeno in un orario serale fino alle 22.30/23. Dopo di questo non so, perché in realtà già sto facendo un cd da solo in studio, sempre in inglese, e sto scrivendo altra roba in italiano, e sto facendo pure altro insieme a loro, quindi dobbiamo vedere perché abbiamo talmente tanta roba in cantiere che sicuramente uscirà tanto ma non sappiamo quando“.
Com’è il tuo mood da solista?
“In realtà non è proprio da solista perché anche in questo progetto ognuno del gruppo interviene, ma è un po’ il proseguimento di questo, solo che lo sto facendo da solo in studio per non tediarli troppo, perché già c’abbiamo delle cose in cantiere, quindi non posso sempre portarli in studio. È sempre lo stesso mood, però forse un po’ più pop rock, più incentrato sulle strutture classiche e riconoscibili, un po’ più semplice. Già ‘Average’, quest’ultimo brano, ha una struttura piuttosto semplice ma dei cambi di tempo all’interno del ritornello, cioè una cosa un po’ rara da sentire”.
Se mi dovessi fotografare le sonorità e le emozioni di “Average”?
“La canzone ha un’accordatura aperta che è tipica dei brani folk americani, quelli di John Fahey, quindi sonorità particolari. Infatti, anche nel comunicato stampa, ho sottolineato il riferimento a ‘Black Mountain Side’ dei Led Zeppelin. Tutti e due, Fahey e Led Zeppelin, evocano molto il paesaggio naturale della campagna. Ho scritto questo brano qua quando sono tornato da un viaggio in mezzo ai monti. È il cervello più libero possibile. È una canzone molto spirituale effettivamente“.
Dietro questo viaggio cosa si nasconde in te: uno spirito eremita o una spinta ecologista?
“Se dicessi che non bado alla questione ecologica direi una falsità. Mi piacerebbe inquinare il meno possibile, ma utilizzo la macchina. Diciamo che vivo la città, ma non mi piace affatto. Ci vivo per necessità. Adoro la campagna e adoro stare in paese in Sardegna da me. Non mi piace neanche Cagliari. Rispetto Roma, una bella città che piace a tutti, ma non amo stare in città, mi voglio affacciare e non vedere dei palazzi e del cemento. Il cervello, fino a prova contraria, più ha ossigeno ed è libero, più funziona meglio. È un dato di fatto“.
Visto che sei il leader della band, quando ti sei riconosciuto una personalità carismatica?
“Onestamente non mi piace il concetto del leader, perché sono un antiautoritario, in ogni senso. Diverso è il valore dell’autorevolezza, ma l’ho cominciato a capire verso i 25 anni. Sul versante musicale, quando uno partorisce un brano, almeno nel mio caso, io mi sento tutto in testa, strumento per strumento. L’unico che realmente ha quasi sempre carta bianca, tranne in sede live perché esagera, è il chitarrista, che tira fuori delle melodie e degli assoli a cui io non penserei mai. Tutti loro in realtà sono dei geni. Io ho un super gruppo“.
Delle vostre canzoni, quale consigli per la sera della vigilia di Natale?
“Sicuramente ‘Average’, ‘Sunflower’ e ‘Dust’ che è proprio natalizia“.