Kiol: un talento cresciuto sui palchi d’Europa
Un’esplosione di genuinità e intraprendenza: è l’artista Kiol che in questi giorni è on air con “Ciao”, singolo estratto da “Techno Drug Store” (Join Records), il suo album di debutto.
Il nome Kiol che origine ha?
“Suono la batteria da quando sono piccolissimo e al liceo ho iniziato a suonare la chitarra, a cantare un po’ di canzoni dei Mumford and Sons, Paolo Nutini, tutto quel mondo lì. Poi in quarta liceo sono stato bocciato e per far fronte alla bocciatura sono andato tre mesi ad imparare l’inglese in Irlanda, in un paesino vicino a Cork, che è vicino a Dublino, che si chiama Mallow che è anche il titolo di una mia canzone. Sono andato lì, mi ero portato la mia chitarra, ho conosciuto dei ragazzi del posto e tutte le sere li vedevo nei punti di ritrovo, come ad esempio il campo da calcio. Saranno state 20, 30 persone, eravamo un gruppo davvero grande e tutte le sere io suonavo le cover e la gente continuava a gasarmi, a dirmi: ‘portala anche domani la chitarra, dai facci altre canzoni’. Fatto sta che ho passato un’estate a suonare per loro. Due, tre giorni prima di andare via, mi fanno: ‘Ti ricorderemo come Kiol’. Io gli dico: ‘Cosa vuol dire?’. Loro mi dicono ‘Musica in gaelico’. Allora io sono tornato a Torino, gasatissimo di iniziare un progetto dove scrivevo le mie canzoni, me le cantavo e suonavo con la chitarra e appunto ho iniziato a chiamarmi Kiol in modo molto spontaneo, non ho dovuto fare nessun tipo di ricerca, l’unica in realtà che ho fatto è di capire se questa parola esistesse davvero. L’ho trovata scritta in un modo diverso. La pronuncia è Kiol così come è scritta, ma la parola è scritta Ceol, ho fatto un po’ un confronto e mi piaceva molto di più con la K scritta così Kiol“.
Quindi è anche questo che ti ha spinto a sposare la lingua inglese per le tue canzoni?
“Sì, decisamente. A parte che ho sempre ascoltato molta più musica inglese sin da quando ero piccolo. Suonando la batteria, sono passato dai Green Day ai Blink-182 poi sono entrato nel metal e quindi anche lì Limp Bizkit, i Korn, etc. etc. Quindi ho sempre ascoltato musica in inglese. In più, imparando dei testi di cover in inglese cantandoli a gente non italiana, sembrava una cosa veritiera, nel senso che non mi hanno detto ‘fai cagare, cantaci una canzone in italiano’, da lì ho capito che forse potevo farlo, e ho iniziato a scrivere in inglese. Sarà l’abitudine, l’orecchio, ma il modo di comunicare mi viene molto, ma molto più semplice in inglese, così ho iniziato questa strada qua“.
Sei un autodidatta?
“Sì. Con la batteria ho fatto un anno quando avevo 8, 9 anni, giusto per avere un’impostazione seria, però con la chitarra sono sempre stato autodidatta. Da lì ho iniziato a suonare un po’ il basso, il piano e con la voce pure ho sempre cantato da solo fino a che non ho dovuto fare un sacco di concerti e i concerti più lunghi, quelli tipo che dovevo cantare per un’ora e un quarto, mi sono fatto un anno di lezioni per imparare a cantare a lungo, tenersi le energie fino alla fine e non dare tutto alle prime tre canzoni. Quindi tre, quattro anni fa ho fatto un anno di impostazione vocale“.
Quali sono i tuoi ingredienti per spiccare il volo visto che hai all’attivo oltre 150 date in giro per l’Europa a soli 23 anni?
“Per ‘spiccare il volo’ intendi per fare quello che ho fatto finora dici?“
Sì, esatto.
“Mi piace come termine, è bello. Devo dire che è stato tutto molto una sorpresa, anche graduale. Innanzitutto, credo che la voce sia il mio punto forte, nel senso che la mia voce si adatta a quello che scrivo. Difatti fin dal primo ep, quello che era la mia prima uscita, ‘I Come As I Am’, ho cominciato con quello, è stato proposto ai miei manager con cui ho sempre lavorato e che mi hanno portato a firmare la distribuzione di questo primo ep con Warner Benelux. Da lì abbiamo trovato a Bruxelles delle Booking agency in Belgio, Olanda, Lussemburgo, poi da lì si è sparsa la voce in Inghilterra ed è stato preso da International Talent Booking, che mi ha fatto fare altrettante tappe in Inghilterra, poi così sempre in Germania, Francia. Diciamo che la musica, quello che scrivo, la mia voce, è il passepartout che mi ha permesso di fare quello che faccio, credo sia stato così. Di sicuro, poi c’è la verità del progetto. Io ho due manager, Andrea e Stefano, che sono due fratelloni grandi e credo che chiunque ci veda insieme si faccia poi coinvolgere dal nostro mood e dai nostri obiettivi comuni. Quindi credo che questi siano gli assi nella manica del progetto“.
Hai fatto tanti incontri importanti aprendo i concerti, ad esempio, di Joan Baez, Natalie Imbruglia…
“Sì, in alcune situazioni tipo più grandi, ad esempio, Eros Ramazzotti, l’ho solo incrociato, ci siamo detti uno scambio di battute veloce e poi ognuno per la sua strada, ma quello che mi ha stupito molto è stata Joan Baez. Avendo 78 anni quando ho suonato con lei, lei che ha suonato con John Lennon e Bob Dylan e che è un mostro sacro della musica, non mi sarei mai aspettato nulla da lei. Visto che già alla sua età stava facendo i tour per il mondo, immaginavo che quando suonavo io lei stava in camerino, in hotel a riposarsi, invece è stata tutto il concerto seduta per terra nel backstage, subito dietro le quinte del palco, a sentire tutto il mio concerto. Quando è finito, io stavo sudato fradicio e lei mi ha abbracciato. Abbiamo iniziato a parlare, ci siamo bevuti una birra insieme, è stato un momento decisamente indimenticabile. Come anche, ad esempio, Natalie Imbruglia, che è stata davvero simpatica, amichevole. Ero da solo, erano 16 date per tutto il Regno Unito, quindi sarò stato più o meno una ventina di giorni in tour. Io alloggiavo da solo in hotel e mi spostavo in treno, mentre lei e la band si spostavano con il tour bus. Ogni fine concerto mi invitavano con loro a bere qualcosa, da subito sono stati super, super amichevoli. Diciamo che ho incontrato delle bellissime persone. Nonostante ci sia il mito della rockstar, dietro le quinte vedi che sono persone normali e molte sono davvero delle ottime persone con cui passare il tempo“.
Amano la musica.
“La nostra cosa in comune, il link“.
Ma Joan Baez cosa ti ha detto?
“Bastava che mi guardasse. Io ero in balia dell’adrenalina e delle emozioni del concerto, mi ricordo proprio i suoi occhi, lei che mi diceva ‘bel lavoro, bravo’, credo che questi siano gli unici complimenti che ho ricevuto. Ma quello che ho apprezzato è il fatto che fosse rimasta lì ad ascoltarmi, a bersi una birra con me e a fare due chiacchiere generali, non abbiamo parlato di tante cose, lei sa quanto può trasmettere solo con uno sguardo e ce lo ha regalato a me e a tutto il team. È stato quello il bello“.
Sei da poco on air con il singolo “Ciao” che fa parte di “Techno Drug Store”, album uscito ad ottobre: come è stato accolto?
“Per quanto riguarda tutti gli streaming, gli ascolti, i pareri di quelli che mi seguono, è piaciuto molto, le canzoni sono molto eterogenee, sono molto contento di averlo fatto uscire nonostante questo periodo molto particolare, me lo sarei goduto di più io a portarlo sul palco. Stavo organizzando per la scorsa estate di mettere in piedi la band di nuovo, dopo che erano anni che suonavo da solo, solo con il mio chitarrista, in duo. Stavo rimettendo in piedi la band, eravamo molto contenti di portare il suono nuovo sul palco, avevamo un sacco di idee, sia musicali che scenografiche. È bello che le persone ascoltano anche ora la mia musica, ma la reazione live è un’altra cosa. Ho fatto uscire l’album perché era pronto a febbraio scorso. Stavamo pianificando il tour per tutta l’estate scorsa, ma poi c’è stato il Covid e abbiamo dovuto capire cosa fare. Abbiamo prima fatto uscire un po’ di singoli e poi abbiamo detto: ‘Facciamo uscire comunque l’album perché è pronto? E sono contendo di averlo fatto. Adesso arriveranno i vinili e continueremo a portarlo in giro finché non ne scriverò un altro, cosa che sto già facendo, però sarebbe stato molto bello portarlo in giro, cosa che non è successa purtroppo“.
Quindi uscirà anche la versione vinile a breve?
“Sì, esatto, stiamo facendo la campagna, produrremo 250 vinili e dovremmo iniziare a lanciare la campagna per fine febbraio“.
La tua sete di live si vede molto dal videoclip “Ciao”.
“Sì, diciamo che abbiamo deciso di fare il video con tutto il footage di anni di tour e di tutte le situazioni divertenti in cui mi sono ritrovato. Comunque negli anni io non sono mai stato social, cioè la mia carriera è stata sempre basata sui concerti, abbiamo investito tanto nell’andare in giro per tutta l’Europa a suonare anziché investire nel brand su Instagram o di avere tanti follower. Non ci siamo mai curati di questo aspetto qua fino a che non c’è stato il Covid ed era l’unico modo per farsi sentire, cosa ovviamente un po’ triste rispetto all’energia e alle emozioni che ti può creare un live, però diciamo che ‘Ciao’ racconta un po’ tutto quello che ho fatto in questi anni“.
In questa versione social ti senti molto stretto, vero?
“A fine concerto non ho mia detto ‘seguitemi su Instagram’, ma dicevo ‘vediamoci al merchandising così se volete fare due chiacchiere con me mi trovate lì’. Io preparavo il mio banchetto con le magliette, finivo il concerto e prima che iniziasse l’headliner andavo lì. A chi era piaciuto il mio live, veniva da me, o prima dell’headliner o dopo il suo concerto, e ci facevo due chiacchiere così si instaurava un rapporto, chiedevo alle persone di seguirmi, ma in un modo molto più umano, non solo per avere un numero su una pagina ma per cercare di creare un contatto con la persona, conoscerla, prima che diventasse poi parte di quei numeri che mi seguono sui social“.
Però credo che loro ti chiedessero i selfie…
“Sì, assolutamente sì. È stato sempre molto bello. Mi ricordo la prima volta che mi hanno chiesto una foto, ho detto: ‘Cosa? Vuoi fare una foto con me? Perché?’. Ero a Bruxelles, avrò avuto 18 anni e mi ha fatto ridere“.
Accennavi al nuovo album…
“Io scrivo davvero tanto che è il mio punto forte, quello che faccio tutti i giorni. Soprattutto adesso col Covid sto capendo cosa fare di questo talento visto che non si possono fare live, come cercare di scrivere per altri. Adesso sto studiando molto musica per i film, quindi sto cercando di comporre anche per cortometraggi. Ho degli amici, dei conoscenti che girano un sacco di film, di cortometraggi, quindi sto cercando di fare colonne sonore e in più ho già fatto questa estate, prima dell’uscita del mio primo album, una selezione per il secondo. Proprio in questi giorni lo sto producendo. Però chissà, a me piace lavorare quindi lo faccio, però prima cercheremo di portare in giro il più possibile ‘Techno Drug Store’“.
Hai tanti progetti in cantiere… Per quanto riguarda le musiche per i corti hai già delle commesse?
“Sì, ce n’è proprio una a cui sto lavorando adesso, di un mio amico, anche lui emergente, un filmmaker emergente, vorrà proporre questo corto a diversi festival, tra cui quello di Torino e quello di Venezia, e appunto cerchiamo di fare un lavoro bello insieme. In più, sto scoprendo un sacco di piattaforme che ti mettono in contatto con un sacco di filmmaker che hanno bisogno di colonne sonore, e sto cercando di lavorare anche tramite quelle“.
Sei iperattivo, vulcanico!
“Più che altro, essendo bloccato e tutto il resto, c’è bisogno di smuovere un po’ le acque nel modo più interessante possibile, anche per esempio sto lavorando con un deejay di Torino, sto cercando di fare un singolo che fa parte poi di un insieme di collaborazioni, adesso è tutto da capire, ma ci siamo sentiti, diciamo collaborazioni che vanno al di fuori del genere che ognuno fa per creare degli ibridi. Anche questo, secondo me, è molto interessante per dare alle persone qualcosa di nuovo, qualcosa di bello. Quindi ho un po’ di progetti in mente e di sicuro forse il primo che si potrà vedere è proprio questa canzone con questo deejay che si chiama Mariatti ed è di Torino. Si fa, si fa“.
Quindi “Si fa, si fa” è il tuo motto?
“Certo, operatività al massimo. È un modo per incanalare la mia creatività quello di cercare di finire dei progetti perché tutti i giorni se ne inizia uno, si inizia una canzone, un testo, una roba che può andare per un film, però poi avendo delle commissioni e degli obiettivi da raggiungere si fa sì che ogni idea che mi viene in mente viene poi finalizzata in qualcosa di concreto, pubblicabile“.
Mi lasci con il verso di una tua canzone in cui ti rispecchi tantissimo?
“C’è ‘No peace’ che è un po’ funkeggiante, uno dei miei singoli prima dell’album, era del 2019, dove dico ‘Building my world with my words and my efforts stay on the stage till the lights burn my neckbone living my life with the music my passion trying to go on just die special’ (‘Costruendo il mio mondo con le mie parole e i miei sforzi, rimango sul palco finché le luci non mi spezzeranno l’osso del collo per la loro intensità, vivendo la mia vita con la musica, la mia passione, cercando di andare avanti e morire in modo speciale’). Mi rispecchio molto in questa frase in quanto è un sunto di quello che cerco di fare della mia vita a livello musicale“.