Giusy Sciacca: la “Virità” è che la Sicilia alimenta la sua penna creativa
Giusy Sciacca, verace scrittrice siciliana, cos’è per te la parola? “La parola è molte cose, riassunte tutte in un peso specifico importante, perché le parole sono veramente importanti. Nella scelta della parola, sia nella comunicazione verbale che in quella scritta, c’è tanta ricerca, è un’azione di fino la scelta delle parole“. Vive tra Roma e Siracusa. È autrice di racconti, romanzi e testi teatrali, oltre che ideatrice e curatrice del Premio Nazionale di Poesia Sonetto d’Argento Jacopo da Lentini. Ha appena pubblicato per le edizioni Kalós il libro “Virità, femminile singolare-plurale”. Nella quarta di copertina si legge: “Qual è la verità? Domanda sbagliata. La verità non è mai solo singolare, ma di certo è femminile”.
Il libro che hai appena dato alle stampe s’intitola “Virità, femminile singolare-plurale”: un titolo che si sofferma sulla parola verità in siciliano, perché?
“È stata una scelta, ovviamente il volume ha una matrice siciliana però si rivolge al pubblico nazionale fondamentalmente, perché le protagoniste sono accidentalmente nate in Sicilia, ma le loro vicende poi interessano la storia mediterranea, la storia italiana tutta, se pensiamo alle sante o alla storia dell’Unità d’Italia, la storia della musica, le poetesse, quindi una storia che riguarda tutti. Però la parola ‘verità’ tornava sempre attraverso i racconti e tornava quasi questo rivendicare una propria verità, ma appunto un omaggio alla nascita delle protagoniste fa diventare ‘verità’ come ‘virità’, che è una chicca comprensibile anche per chi siciliano non è“.
Anche se chi ama il latino in quel nome vede anche la radice di “forza”…
“Me lo hanno fatto notare, anche se il termine proprio ‘verità’ deriva dal sanscrito che significa ‘fatto’, ‘accadimento’. Da un punto di vista etimologico le due cose sono distinte, anche se poi la forza si evince in ogni caso, tornando in maniera evocativa“.
Il libro racchiude venti ritratti ricchi di suggestioni di donne della Trinacria: quale urgenza ti ha spinta a scegliere loro venti e non altre figure?
“C’è stata una bella opera di selezione alla base tra le donne che ho incontrato letteralmente nel corso di tutta la ricerca che ho fatto negli anni, iniziata poi di fatto per interesse personale, non avevo pensato quando studiavo la storia delle donne di farne un libro. Questo è maturato negli anni. Come da tante donne si è arrivati a venti, perché per le esigenze di tipo editoriale bisognava in qualche modo chiudere il cerchio, direi che le ho scelte per affinità elettive. Ho scelto quelle che comunque, anche con le loro differenze – la differenza che ci può essere tra una santa e una rivoluzionaria, un’esorcista e una cantante del Seicento, una campionatura molto vasta – in qualche modo nel loro vissuto mi hanno toccata“.
C’è un tratto comune nella personalità di queste donne?
“Io dico sempre la consapevolezza. Nei racconti il fil rouge che lega figure completamente distanti nel tempo, nei mezzi culturali, nel contesto sociale, quel filo che le lega è di fatto la consapevolezza. Queste donne oggi raccontano le loro vicende in maniera consapevole. Non ci sono solamente delle eroine positive per così dire, ho citato appunto un’esorcista, ho citato un’eretica, un’avventuriera, una donna libertina, però tutte hanno scelto, vissuto, combattuto o comunque si sono comportate, anche nel gestire le relazioni, sempre in maniera consapevole, coscienti di quello che facevano e di quello che accadeva loro“.
Cosa ti ha guidata nel mescolare le testimonianze del loro passaggio con le tue suggestioni personali?
“Probabilmente la libertà che io ho oggi in qualche modo volevo condividerla e quindi dare la possibilità, ovviamente in maniera fantasiosa, ad ognuna di loro di raccontarsi, di aprirsi letteralmente, perché sono tutti personaggi storici e quindi pertanto non appartengono a nessuno, se non al nostro patrimonio culturale. Una in particolare, che è Cleopatra di Sicilia, sfuma nella leggenda. Però sono arrivate fino a noi attraverso dei trafiletti, attraverso racconti scritti da altre mani, quindi spesso dagli uomini, quindi in qualche modo viziati, ed io volevo che fossero loro in maniera libera, senza filtri, senza etichette, senza ruoli, quindi del tutto spogliate di tutto, se non l’essenza femminile. Questo è quello che congiunge me a loro“.
In questo libro l’intento era di raccontare la donna, la Sicilia o l’universalità dell’animo umano anche se da esperienze nate nella tua terra?
“Esattamente, hai centrato il punto del progetto. La seconda opzione, ovvero la Sicilia, in questo caso non è solo uno scenario, è coprotagonista. Le donne sono siciliane, ma, ripeto, accidentalmente di nascita. Di fatto, la Sicilia e la nascita siciliana è un punto di partenza per avventurarsi letteralmente in quello che è proprio una campionatura di sentimenti, di emozioni, di complessità. È appunto dalla specificità all’universalità dell’animo umano. È proprio questa la definizione“.
Scrivendo tu per La Sicilia, SicilyMag e il tuo blog Parola di Sikula, continuerai il tuo viaggio con la penna avendo come prossima meta un nuovo libro che profuma di Sicilia?
“Al momento sto lavorando ad un romanzo che spero possa vedere luce presto, a breve si metterà alla ricerca di una casa anche lui e posso dire che in qualche modo la Sicilia per me è una musa, un serbatoio di immagini, di suggestioni così profondo che non si finisce mai di pescarci dentro, ma con l’ottica che ti dicevo prima: io ho vissuto ovunque portando la Sicilia con me, quindi dal particolare ci muoviamo verso l’universalità della storia, dell’animo umano, dei sentimenti“.
Quali sono le cose che più caratterizzano la Sicilia e quindi l’essere siciliana?
“Io sento profondamente l’eredità di una stratificazione storica, culturale, linguistica e la condivido in qualche modo quando mi trovo a parlare con amici, con i miei affetti. Abbiamo forse questa consapevolezza, una sorta di inconscio collettivo dove c’è un passato importante, dal quale poi si è sviluppato molto altro, cioè la storia mediterranea di fatto se non è partita dalla Sicilia, l’ha comunque toccata, l’ha interessata. Ecco, questa stratificazione per me ha un fascino incredibile e alimenta molto la mia creatività“.
Mi leggi il passaggio che ritieni il vero spirito di “Virità”?
“Ho citato prima Cleopatra di Sicilia, che è questa figura leggendaria, una donna, una nobildonna musulmana che si trova ad avere come diretto nemico, per così dire, Federico II. Lo affronta e pur di non cedere al suo volere, difendendo quella che lei riteneva la sua terra, perché per ogni passaggio che è avvenuto in Sicilia, ognuno ha lottato, ha bramato l’isola e ha sofferto nel cederla poi a qualcun’altro. Così accade a lei che pur di non cedere preferisce darsi la morte, facendosi mordere da una serpe, ecco perché poi viene chiamata la Cleopatra di Sicilia. Le sue ultime parole, prima di chiudere gli occhi, sono rivolte ad un uomo, ad uno dei guerrieri del padre. ‘Mi sdraio di fianco, badando che la testa sia rivolta verso La Mecca. Chiedo a Tareq di poggiare l’urna di madreperla a terra, vicino a me. Mi è vicino e mi stringe la mano. Ancora un’ultima carezza. <Vai adesso, mio uomo fedele, scappa e trova pace. Possa la bellezza della tua pelle di carruba e lo smeraldo dei tuoi occhi splendere a lungo, qui, tra le nostre genti>. Si allontana solo di qualche passo. E attende. Libero con le mie stesse mani la serpe che con il suo morso mi condurrà ad Allah nella gloria del mio onore. Inshallah, Ṣiqilliyya. Inshallah’. Questa chiusa che mette insieme Inshallah Ṣiqilliyya che è appunto Sicilia in arabo, in qualche modo dà il polso della stratificazione, accostare Inshallah che significa ‘A Dio piacendo’ alla ‘Sicilia’ in arabo già dà l’idea di quello che può essere una profondità culturale, questa stratificazione, e dell’amore che è stato nutrito nei confronti dell’isola“.