“X & Y – Nella mente di Anna”, attori e spettatori nudi di fronte alla Odell

I suoi occhi sono magnetici, sembrano scrutare, indagare e possedere chi li guarda. Sono quelli della regista ed artista concettuale svedese Anna Odell (classe 1973) nel suo nuovo film “X & Y – Nella mente di Anna” (durata 108″), nei cinema italiani dal 24 giugno. La cineasta si chiude in uno studio con altri sette attori che percepiscono la presenza dei produttori quasi a giocare sul filo di cinema e metacinema. Pone se stessa alla conquista di quello che è considerato un “vero maschio” in Svezia, Mikael Persbrandt, e col quale decide di mettersi a nudo in ogni senso senza alcuna inibizione. Il loro spazio d’azione è fondamentalmente dato da: una camera dell’interrogatorio, costruita come nei polizieschi, in cui dirsi tutta la verità (una sorta di “confessionale” degli amanti del reality “Grande fratello”); e due camere da letto con quattro posti perché sia Anna che Mikael hanno tre alter ego ciascuno per far spiccare parti diverse del loro carattere e della loro personalità. Così ad Anna Odell e Mikael Persbrandt si aggiungono gli attori Trine Dyrholm, Jens Albinus, Vera Vitali, Shanti Roney, Sofie Gråbøl e Thure Lindhardt. Il tema primario con cui sono chiamati a confrontarsi è una sorta di braccio di ferro tra i sessi, la questione di leadership tra il maschile e il femminile, senza pregiudizi e pudori, fino al vero possesso e/o godimento del corpo dell’altro in uno sperimentare sensazioni ed emozioni audaci, coraggiose, autentiche. Guardando il film a volte si ha la sensazione di un vero e proprio reality alla “Grande fratello” – a cui si accennava prima, ma qui trattandosi di Anna Odell potremmo dire “Grande sorella” -, altre volte si pensa di assistere ad una performance artistica che è stata raccolta in un film. Il copione è invocato più volte e a più voci, ma Anna Odell – ideatrice, regista ed attrice – è tutta presa dal furore della sua libertà creativa e da un racconto che si fa mentre succedono i fatti che resta quasi sorda a questa richiesta. Il film pone lo spettatore nel dilemma continuo se ciò che vede è reale o finzione senza trovare la risposta. I vari elementi della narrazione del gioco dei ruoli vengono più volte mischiati, vissuti e raccontati così che il confine tra la verità dell’essenza umana e quella del fare artistico si fa labile. Cosa avviene davvero? Questa sperimentazione artistica dove porta o vuole condurre? Anna Odell, già mamma, chiude il film in attesa di quello che viene definito un “figlio d’arte”: chi è il padre? Persbrandt? Uno degli altri attori? E chi è Anna Odell? Una grande artista, una grande attrice, una visionaria o una che sperimenta un vivere senza porsi alcun limite, pudore e inibizione? La confusione, l’imbarazzo e l’incredulità che traspaiono attraverso le telecamere sono provate davvero dagli attori o vengono vissute solo dai “ruoli” loro assegnati? Una cosa è certa: queste stesse sensazioni sono provate anche dallo spettatore che si vede immerso nel racconto senza avere alcuna zona comfort, ma trovandosi anche lui nudo, completamente nudo, di fronte a questa rappresentazione firmata Anna Odell.

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