Eltjon Bida, quando uno straniero diventa di casa
Uscito il 24 settembre è stato subito un boom di vendite “Che fine ha fatto quel clandestino?”, il secondo libro di Eltjon Bida, sequel di “C’era una volta un clandestino”, romanzo autobiografico, vincitore di diversi premi. Nato il 16 dicembre 1977 a Bashkim, un piccolo paesino di circa 600 abitanti in provincia di Fier in Albania, Eltjon Bida nel febbraio del 1995, all’età di diciassette anni, è arrivato in Italia a bordo di un gommone. Oggi vive a Milano, con sua moglie inglese e i loro due figli.
Il primo libro s’intitolava “C’era una volta un clandestino”, ora “Che fine ha fatto quel clandestino” che viene definito proprio il sequel. Come mai in qualità di scrittore preferisce continuare su questo tema?
“Raccontare tutto il mio percorso di integrazione in un libro solo, sarebbe stato impossibile. Ma non solo la mia storia, ma anche quella degli altri miei connazionali. Il terzo libro della trilogia l’ho appena finito di scrivere e ora è pronto da far leggere ad alcuni miei amici lettori. Continuo su questo tema perché vorrei far capire come uno straniero, all’inizio, in un paese nuovo, può trovarsi un po’ spaesato e magari dalla disperazione, dalla fame, combina degli episodi poco piacevoli, ma poi piano piano, dandogli un’opportunità, quello che una volta era uno straniero diventa di casa, molto utile al paese in cui vive: lavora sodo, rispetta le regole e paga le tasse. Poi una volta finita la trilogia, forse non scriverò più su questo tema. Infatti, a maggio/giugno dell’anno prossimo è prevista l’uscita di un mio giallo famigliare”.
Quanto di autobiografico c’era allora e quanto adesso?
“Sia nel primo che nel secondo libro, circa il settanta per cento è autobiografico e il resto è romanzato”.
Nel nuovo lavoro si prendono in considerazione cinque mesi del 1997, da aprile ad agosto: perché questa scelta?
“Erano stati cinque mesi in cui erano successi tanti episodi belli, brutti, curiosi, di crescita e cambiamento. Sono stati mesi dove lavoravo come venditore porta a porta e, come racconto anche nel libro, spesso succedevano anche degli episodi inaspettati, particolari. In questi mesi, mio fratello e gli altri compaesani avevano cercato di lasciare l’Italia nascosti in un camion e due di loro, stufati in quanto senza documenti e di conseguenza senza lavoro, avevano preso una brutta strada. Poi era stato anche un periodo dove frequentavo due ragazze delle quali ero pazzo. Perciò sarebbe stato un peccato non raccontare quel periodo che io considero molto interessante”.
Il nuovo libro oscilla tra il rifiuto del “diverso” e l’accoglienza: quali sentimenti prevalgono in lei quando a freddo ripensa a quello che le è accaduto lasciando l’Albania e giungendo in Italia?
“Penso di essere stato molto, ma molto fortunato. Già partendo, dal giorno in cui ho lasciato l’Albania, sarebbe bastata un’onda più grande e noi non saremmo qui a parlare”.
Nel libro affronta anche il tema dell’uso degli stupefacenti. Vuole raccontare perché?
“Perché ho visto come alcuni miei amici si sono rovinati la vita. Gli stupefacenti ti rovinano la vita e punto. E se in qualche modo posso esprimere il mio pensiero e cambiare l’idea di qualcuno che la pensa diversamente, lo faccio”.
L’amore, di cui discorre tanto nel libro, per lei cos’è?
“L’amore è tutto. È triste la vita senza amore, e qui non intendo solo l’amore romantico, ma l’amore in generale: per un amico, amica, i figli, i genitori, insomma l’amore platonico. Provare ad amare e rispettare il prossimo si vive bene, si vive molto meglio”.
Il film sul suo primo libro a che punto del viaggio è?
“Purtroppo, il progetto non è stato portato avanti per mancanza di soldi. Anche il Covid 19 ha fatto la sua parte. Ma sono fiducioso, appena uscirà il terzo libro della trilogia, che definisce le storie di tutti i personaggi, magari nascerà qualcosa di bello”.
Secondo lei in termini di accoglienza l’Italia è cambiata in questi ultimi vent’anni?
“Secondo me non è cambiata. Complessivamente l’Italia è sempre stata un paese di buona accoglienza. Certo, c’è qualche politico o personaggio che ne ha sempre da dire, ma così era anche in passato”.
Qual è il suo poeta preferito? E quali i versi che di questo poeta più la colpiscono?
“Naim Frashëri, poeta albanese che ha vissuto alla fine dell’Ottocento. Mi viene la pelle d’oca quando leggo le sue poesie. Penso che tutti gli albanesi ne conoscano almeno una delle sue. I versi che a me colpiscono di più sono della poesia ‘Bagëti e Bujqësi’ (‘Mandrie e agricoltura’) dove il poeta racconta le bellezze dell’Albania, il lavoro del contadino e l’amore per la propria patria”.
Qual è il posto del mondo che più ama? Perché?
“Casa mia, con la mia famiglia. Ci amiamo troppo e non ci annoiamo mai l’uno dell’altro (ride, ndr). Poi, se come ‘posto’ intendi la nazione, allora non potrei scegliere che tra l’Albania e l’Italia. Amo tanto questi due paesi, mi hanno dato quell’amore di cui parlavamo prima, mi hanno insegnato il rispetto, in pratica mi hanno dato tutto e non posso non amarli”.