“Fellini e l’ombra”, i conflitti interiori di un visionario

Interessante la proposta di scavare nella psiche di Federico Fellini ad opera della regista Catherine McGilvray, laureata in storia del teatro e dello spettacolo all’Università La Sapienza di Roma e diplomatasi al Centro Sperimentale di Cinematografia. Forse tante volte durante i suoi studi si sarà accostata al mitico Teatro 5, dove il maestro riminese amava girare ed oggi a lui dedicato. E, molto probabilmente, è dalle suggestioni nate lungo i viali di Cinecittà che nell’autrice ha preso forma questo viaggio nell’inconscio che si potrebbe definire “manifesto”, perché divulgato dallo stesso cineasta, intitolato “Fellini e l’ombra”, una produzione Verdiana, da oggi, 17 gennaio, nei cinema grazie a Luce Cinecittà, che lo distribuisce in occasione della ricorrenza del compleanno del regista, nato il 20 gennaio del 1920. Come molti sanno, Federico Fellini viveva dei suoi sogni, che vedeva quasi come premonizioni e che, su consiglio dell’analista Ernst Bernhard, pioniere dell’analisi junghiana in Italia, fermava su carta attraverso disegni e parole, in quella che può essere indicata come una sorta di autoanalisi portata avanti per circa 30 anni, poi confluita nel “Libro dei Sogni”, pubblicato per la prima volta nel 2007 (e oggi ristampato in tutto il mondo). Partendo da queste pagine e trovando in un alter ego, la documentarista portoghese Claudia, colei che indaga nei conflitti felliniani di creatività e angoscia, di ombra e luce, Catherine McGilvray cerca nuovi dettagli e nuove sfumature sull’affascinate “io” del maestro. Scritto dalla regista, insieme a Caterina Cardona e Bruno Roberti, il documentario rintraccia nuovi segni per inedite chiavi di lettura sulla creatività visionaria di una personalità forte e combattuta. Tra le chicche di questo lavoro ci sono: l’ingresso al cinema Fulgor di Rimini, dove Fellini scoprì la bellezza della settima arte; la presenza nel cast di un suo prezioso collaboratore, Gianfranco Angelucci; sprazzi di luce dalla corrispondenza con Georges Simenon, l’amico scrittore, papà del commissario Maigret; e l’analisi della figura della Saraghina, “donnone monumentale”, che appare in “8½” (1963), film che ottenne l’Oscar al miglior film straniero e ai migliori costumi.

You May Also Like

“Una terapia di gruppo” insegna a raccontare le proprie ferite col sorriso

L’urgenza della “grande” lezione di Enrico Berlinguer, attraverso lo sguardo di Segre e Germano

“Ciao Bambino”, poetica storia sul riscatto dalle miserie di periferia

“La gita scolastica”, lo sguardo anticonformista della regista Una Gunjak