“Io sono vera”, viaggio nella quantistica delle emozioni

“È una storia bella, ambiziosa e estremamente poetica”, con queste parole l’attrice Anita Caprioli suggella l’essenza di “Io sono Vera” in cui interpreta la mamma di una bambina che scompare a 11 anni e ricompare dopo due anni da giovane donna, invece che adolescente. A dare materialità al corpo di Vera ci sono Caterina Bussa, da bambina, e Marta Gastini, da grande. Il film, girato tra Italia e Cile (in primo piano ci sono la costa ligure di Ponente, in particolare il promontorio di Punta Crena, e San Pedro de Atacama), è un’avventura fantascientifica che racconta qualcosa di non prettamente visibile e che ha raccolto consensi in ogni parte del mondo, dall’Australia alla Norvegia, passando per la Corea. Dietro questo successo c’è la passione e la tecnica di Beniamino Catena, noto al grande pubblico per il successo di serie tv come “Doc− Nelle tue mani” (2021) con Luca Argentero. “Il titolo spagnolo ‘Vera de verdad’ (‘Vera verità’) – racconta il regista che firma il soggetto a quattro mani con Graziano Misuraca – è molto incisivo, per una certa assonanza. Ma anche in italiano rimane pur sempre: sono io veramente”. Prodotto da Macaia Film, Atomica e 17 Films, “Io sono Vera” (Italia-Cile, 2020, durata 100’ ca.) arriverà al cinema il 17 febbraio distribuito da No.Mad Entertainment.

Beniamino Catena, come nasce l’idea del film?

Il film nasce in seguito a una perdita, a un lutto. È partito da una riflessione sulla perdita e, quindi, ha il vuoto che si crea in questa ragazzina, Vera, che cerca di scoprire cosa c’è in quel vuoto e compirà un viaggio straordinario riuscendo a scoprire che quel vuoto non è affatto vuoto, ma è pieno di energia che lei può far tornare indietro”.

È metaforicamente lo stesso percorso che per elaborare il lutto ha compiuto lei?

Metaforicamente, se vuoi, sì”.

Il film è scarno di dialoghi: è una cosa prevista già in sceneggiatura (scritta da Paola Mammini e Nicoletta Polledro)?

Sì, il film era già in sceneggiatura non ricchissimo di dialoghi, perché volevo fare un film più visivo e sonoro, quindi, sui silenzi. In ripresa siamo andati ancora di più a sottrarre, proprio per lasciare più spazio al silenzio o al suono”.

La colonna sonora dei Marlene Kuntz ammanta le immagini in maniera plastica, come avete lavorato insieme?

Non è la prima volta che collaboriamo. In questo caso i Marlene Kunts hanno lavorato in maniera indipendente, confrontandosi, però, anche col suono dei luoghi sudamericani, inviando loro, in particolare, del sonoro degli Aymarà (popolazione che vive prevalentemente nelle vicinanze del lago Titicaca, ndr). Poi hanno fatto una cosa molto nelle loro corde”.

“Io sono Vera” si nutre di fisica quantistica facendosi fisica delle emozioni. Quello rappresentato è un mondo che risponde ad un suo sentire?

Sono appassionato della nuova fisica che a volte ci restituisce verità importanti anche sul piano quotidiano, visto che molti concetti della nuova fisica sfiorano il mistico. Fare una commistione tra realtà della fisica, concetti della fisica e concetti religiosi è interessante e il film vive un po’ di questa sintesi”.

In conferenza stampa ha detto che “la scienza ha dato più risposte della religione”: questa sua consapevolezza su quali letture in particolare si basa?

‘Il Tao della fisica’ (1975) di Fritjof Capra è stata una lettura fondamentale”.

È stato difficile dare volto a Vera, prima e dopo il viaggio nella vita di un uomo cileno, clinicamente morto, che, dall’altra parte del mondo, si era risvegliato nello stesso istante in cui lei era svanita nel nulla?

Era fondamentale trovare un’attrice che interpretasse Vera, perché è un personaggio piuttosto anomalo e, quindi, Marta Gastini è straordinaria da questo punto di vista: ha fatto un grande lavoro sul corpo ed è riuscita a dare un’immagine piuttosto androgina al personaggio, un po’ aliena. La ragazzina l’ho cercata tra tantissime giovanissime tra Roma e la Liguria e poi ho trovato una ragazzina che vive qui in Liguria, in un paesino, e che aveva fatto solo teatro: è molto genuina, autentica e coraggiosa”.

È stato complesso raccordare le riprese in Italia e in Cile?

È andato tutto bene, ci siamo organizzati con troupe straordinarie sia qui che là. I produttori Simone Gandolfo e Karina Jury hanno fatto un lavoro straordinario di corrispondenza e di logistica in entrambi i continenti, quindi, è stato paradossalmente semplice, anche se non è mai semplice trasferirsi dall’altra parte del mondo e girare in un deserto. Però è andato tutto molto bene”.

Ho letto che alcune riprese nel deserto le avete effettuate con l’ossigeno…

Abbiamo girato con l’ossigeno quando abbiamo fatto le riprese all’Alma, all’Osservatorio astronomico più grande del pianeta che sta nel deserto di Atacama, perché sono 5.200 metri, quindi, se non hai la bombola di ossigeno rischi di perdere i sensi dopo un quarto d’ora, e anche meno”.

C’è una scena del film a cui è più legato?

Ce ne sono tante di scene che mi piacciono, forse la scena di quando la madre riconosce sua figlia all’ospedale: la trovo una scena molto toccante, molto sentimentale. Oppure la scena delle api in cui Vera dimostra di avere un’identità magica per la quale suo padre la riconosce”.

È alla sua prima opera cinematografica dopo tantissima tv: il suo approccio nella differenza di linguaggio?

È un primo film per il cinema, dopo aver girato tantissime serie tv, quindi, è un’opera prima cinematografica, ma non sono alla prima esperienza. In ‘Io sono Vera’ abbiamo girato con una libertà creativa e produttiva pressoché assoluta, non dovevamo rispettare i canoni tipici del prodotto televisivo, quindi, è stata un’esperienza anche molto avventurosa ed esaltante: non si è vincolati dal dire e spiegare tutto al momento giusto e al posto giusto”.

A cosa sta lavorando adesso?

Sto preparando un nuovo film. Sarà completamente diverso da questo, perché sarà ambientato in una periferia romana con assoluto iperrealismo. È una storia che si svolge peraltro in sette ore di tempo, quindi, completamente diverso da ‘Io sono Vera’ in cui il tempo è dilatato, contratto: è un’operazione diametralmente opposta”.

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