#Be my voice, la protesta per i diritti umani ha un fiore tra i capelli
“Sii la mia voce” è il più bel ponte costruito per dare speranza ad un popolo che soffre. È quello che sui social, Instagram in particolare, ha ideato Masih Alinejad (11 settembre 1976, Qomi Kola, Iran) giornalista, blogger, scrittrice e attivista politica iraniana da oltre 6 milioni di follower. Arrestata nel 1994 per aver prodotto volantini critici nei confronti del governo, oggi vive divisa: a New York col corpo, in Iran col cuore. Per “aver dato voce a chi non ha voce e risvegliato la coscienza dell’umanità nel sostenere la lotta delle donne iraniane per i diritti umani fondamentali, la libertà e l’uguaglianza”, il Summit di Ginevra nel 2015 per i diritti umani e la democrazia le ha conferito il Women’s Rights Award.
Masih Alinejad ha fatto del togliersi il velo, l’hijab, un simbolo di disobbedienza civile: non è contraria all’hijab, ma crede che dovrebbe essere una questione di scelta personale, mentre in Iran le donne che appaiono in pubblico senza il velo rischiano il carcere. A far risuonare maggiormente la sua protesta oggi c’è il film “Be My Voice” (“Sii la mia voce”, appunto) di Nahid Sarvestani Persson (24 maggio 1960, Shiraz, Iran), regista iraniana naturalizzata svedese. “Il motivo che mi ha spinto a fare questo film è stato vedere i video che le persone inviavano disperatamente a Masih sui social media, affinché lei diventasse la loro voce – racconta la regista -. A quel punto non potevo più ignorare la situazione. Ho fatto questo film per essere anch’io la loro voce. Nel novembre del 2019 ci furono delle proteste contro l’aumento del prezzo del petrolio, dove in soli tre giorni il regime uccise 1.500 persone, ne arrestò 7.000, molte delle quali furono condannate a morte. Il regime chiuse internet in tutto il paese per evitare che il mondo potesse assistere al massacro; ciononostante le persone in Iran trovarono il modo di inviare video a Masih”. All’inizio del 2019 Persson iniziò a girare il documentario recandosi a New York, dove vive Masih, e seguendo la sua protagonista ovunque. “Masih mi assomiglia molto: è un’attivista come me – dice la Persson –, ma ha cento volte più energia di me… riesce a essere in dieci posti diversi nello stesso momento”. La vitalità di Masih, con quel fiore che porta orgogliosamente tra i suoi folti ricci liberi di mostrarsi in pubblico, è trascinante. Lei è a nudo sempre: nelle sue emozioni, che oscillano tra gioia della lotta per i diritti e sofferenza per il tanto dolore a cui assiste quotidianamente; nella forza che si dà per sopportare la lontananza dalla sua famiglia d’origine che soffre i soprusi della Repubblica islamica; nel vivere sulla propria pelle le storie di tanti, tantissimi che subiscono sopraffazioni in Iran e che le inviano video per lasciare una testimonianza del loro vissuto e non essere dimenticati.
“Questo documentario – sottolinea Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia che ha dato il patrocinio a ‘Be My Voice’ – è un importante riconoscimento a chi, dall’esilio, non rinuncia ad agire in favore dei diritti umani, ma soprattutto del coraggio di chi, dall’interno dell’Iran, come Yasaman Aryani e le altre compagne di lotta, mette a rischio il proprio futuro per ribadire un principio fondamentale: le leggi che obbligano a indossare o vietano di indossare capi d’abbigliamento sono contrarie ai diritti”. Yasaman Aryani è una ragazza iraniana di 24 anni che si batte per abolire l’obbligo del velo sulle donne nella nazione. A causa di questa sua posizione è stata incarcerata. In particolare, l’8 marzo del 2019, Yasaman e sua madre erano appena entrare sulla metropolitana di Teheran, quando la ragazza estrae un fiore bianco dalla cesta e augura una buona Festa delle Donne. Per questo è stata imprigionata nella prigione di Oarchak con una condanna a sedici anni di reclusione con l’accusa di non aver indossato il suo velo. La pena è, poi, stata ridotta a nove anni. “Be My Voice” sarà nelle sale italiane grazie alla Tucker Film che lo distribuisce assieme al Pordenone Docs Fest (che ha insignito il film del Premio del pubblico) dal 7 marzo, alla vigilia della Giornata internazionale della donna. “Non ho detto di voler cambiare tutto il mondo, voglio solo cambiare il mondo intorno a me – è il motto di Masih Alinejad –. Tutti possono farlo”.