Con “Nuovo Olimpo” Ferzan Ozpetek si conferma il poeta delle emozioni autentiche
Non c’è nessun regista più di lui che riesce a superarsi in ogni film che fa. Ogni sua opera – allargando lo sguardo anche ai suoi libri ed alle sue opere teatrali – trasuda dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, trasmettendole in maniera calda ed avvolgente ad ogni spettatore. La sua dote unica e grande è quella di parlare di storie specifiche, anche autobiografiche, ma utilizzando il linguaggio universale dell’interiorità di ciascuno. In fondo, i grandi artisti hanno proprio questa connotazione: mettere sotto i riflettori un caso piccolo che si fa esemplare di ciò che prova, vive e sente tutta l’umanità, anche se le storie nei contenuti non sono sovrapponibili. Accade che il cineasta poeta Ferzan Ozpetek racconti in “Nuovo Olimpo” (scritto a quattro mani con il produttore Gianni Romoli), film presentato in anteprima alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma (Grand Public) e disponibile dal primo novembre solo su Netflix, una storia d’amore che il tempo non scolora nonostante la vita vada avanti con i suoi ritmi. Il regista fa tutto ciò partendo da una vicenda autobiografica accadutagli negli anni Settanta e che per pudore non aveva mai osato narrare prima d’ora. È il racconto di un amore che resiste anche all’assenza e che va ad intrecciarsi alla passione per il cinema e ai casi della vita che espongono chiunque alle coincidenze talvolta favorevoli altre infauste, agli incontri fortuiti, alle tempeste spazio-temporali. Nella vita succede che ci sono anime che si riconoscono all’istante, ma che non hanno la possibilità di viversi come vorrebbero. È questo il caso di Enea (Damiano Gavino) e Pietro (Andrea Di Luigi), investiti dal successo di carriere invidiabili, ma che si portano dietro un senso di non compiuto per qualcosa di magico che non è e non è stato, quasi vittime della danza vorticosa a cui li trascina la vita. Attorno a loro hanno una girandola di persone che li amano tanto e che desiderano solo il loro bene, come Alice (Aurora Giovinazzo), Antonio (Alvise Rigo), Giulia (Greta Scarano) e, forse, su tutti, Titti, la cassiera del cinema dove Enea e Pietro si incontrano, interpretata da una Luisa Ranieri, bravissima, strepitosa, che esprime quel verace calore umano delle persone che sanno dare con generosità, senza risparmiarsi mai. Se sui titoli di coda ci si accorge di essere emozionati, il merito non è solo della canzone “Povero Amore” cantata da Mina in una maniera struggente tale da creare un’atmosfera intensamente commovente, ma è il turbinio ineffabile di un sordo nodo in gola che si forma durante tutto il film per sciogliersi su quelle note che abbattono ogni ritegno al pudore nella manifestazione delle proprie emozioni.