All’Ara Pacis di Roma “l’occasione di rendere onore ai ludi scenici”

Il mio scudo deve sfolgorare più che i raggi del sole nel cielo più terso. Così che, se si presenta l’occasione, nel fuoco della battaglia, bruci gli occhi dei nemici. Io voglio consolarla, questa mia spada, che non si lamenti, poverina, e non si perda d’animo, poveraccia, poi che da troppo tempo la tengo in ozio mentre lei spasima dalla voglia di far polpette dei nemici”: sono le parole di Pirgopolinice, il protagonista del “Miles gloriosus” (Atto primo, scena prima, vv. 1-8), commedia che Plauto scrisse tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. e che nel 1961 Pier Paolo Pasolini tradusse su commissione di Vittorio Gassman e Luciano Lucignani per la compagnia del Teatro Popolare Italiano. In questo letterario salto temporale si colloca la mostra “Teatro. Autori, attori e pubblico nell’antica Roma” ospitata al Museo dell’Ara Pacis di Roma, che vanta oltre 14mila visitatori dalla sua apertura lo scorso 21 maggio. Il percorso rende vivo il teatro greco, etrusco e romano attraverso sculture, installazioni, testi, restituendo così attualità all’arte scenica di oltre duemila anni fa. Fino al 17 novembre sarà ancora possibile viaggiare nel tempo, godendo di oltre 240 opere tra cui autentiche rarità come la coppa di produzione attica proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze – con una delle rarissime rappresentazioni di processione con falloforia (antico rito dionisiaco greco, che consiste in una processione che accompagnava il simulacro del fallo, simbolo di fecondità) in onore di Dioniso, dio del teatro -, e il vaso di Pronomos dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che riporta una compagnia teatrale impegnata in un dramma satiresco – con Dioniso, dio del teatro, seduto al centro con la sua amata Arianna, e sotto, intento a suonare il doppio flauto, Pronomos, noto auleta tebano, da cui il nome di questo cratere attico della fine del V sec. a.C. -. La mostra ha il pregio di essere accattivante non solo per gli esperti, ma per i tanti giovani che si fermano a guardare i video e i reperti con incredibile curiosità, oltre ad essere accessibile per i non vedenti, gli ipovedenti e i sordi. Man mano che si procede nel percorso si fa conoscenza di autori come Aristofane, Eschilo, Sofocle, Euripide, Menandro, Plauto, Terenzio, di compagnie teatrali, di scenografie, degli edifici teatrali. Questi ultimi, nati in Grecia, prendono la forma definitiva quando la stagione dei grandi classici è conclusa. Opere come l’“Edipo re” o “Le Baccanti” avevano esordito in spazi aperti, provvisori, davanti ad un pubblico distribuito sui pendii di un declivio. I teatri costruiti durante il millennio di vita del dramma antico vengono segnalati dai più affidabili censimenti in circa 1000, comprendendo gli edifici destinati a esecuzioni musicali (odea).

A Roma il passaggio dalla Repubblica all’Impero (nel I secolo a.C.) vede la costruzione dei primi teatri stabili: il teatro di Pompeo (61-55 a.C.), capace di ca. 20.000 posti, circondato di portici e giardini, di cui poco rimane se non nella topografia di Roma; quello di Cornelio Balbo (dedicato nel 13 a.C.), anch’esso perduto; e il teatro di Marcello, quasi contemporaneo, intitolato da Augusto alla memoria dell’amato nipote. “A voi”, visitatori, “viene offerta l’occasione di rendere onore ai ludi scenici”, parafrasando Terenzio (da “La Suocera”, Prologo II). La mostra, dunque, è una di quelle opportunità di conoscenza assolutamente da vivere!

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